Andranno avanti fino al 15 marzo le esercitazione “Juniper Cobra” con le quali migliaia di militari americani e di soldati israeliani si stanno preparando insieme ad affrontare il lancio simultaneo di migliaia di missili contro Israele da Libano, Siria, Iran e anche Gaza. Uno scenario più che probabile, anche se con un coinvolgimento meno ampio di Paesi e territori, se Israele darà inizio alla sua offensiva “preventiva” contro il Libano ed il movimento sciita Hezbollah di cui si parla ormai tutti i giorni. In questo contesto non è insignificante l’allarme generale che, secondo alcuni media arabi, avrebbe proclamato Hezbollah in risposta a una presunta “luce verde” che l’Amministrazione Trump avrebbe dato al governo Netanyahu per un attacco in Libano. Trovare una conferma “ufficiale” non è facile. Certo è che testimoni riferiscono che a Dahiyeh e in altre parti della periferia meridionale di Beirut, la roccaforte di Hezbollah nella capitale libanese, è aumentato il numero dei posti di blocco e si percepisce una tensione crescente. Altre fonti parlano di misure di sicurezza adottate nel sud del Libano a ridosso del linea di confine con Israele. A frenare i piani israeliani, secondo queste voci, sarebbe il rischio che lo Stato ebraico si ritrovi poi sotto una pioggia di razzi lanciati dal Libano.

Al manifesto una fonte giornalista libanese ha invece spiegato che l’allerta di Hezbollah «non è legato al timore di un imminente attacco a sorpresa quanto al rischio che spie di Israele siano riuscite ad infiltrarsi nell’area (controllata dal movimento sciita) per compiervi atti di sabotaggio». La fonte sostiene che «Israele è la parte che meno di tutte le altre vuole la guerra perchè sa che la risposta di Hezbollah sarebbe devastante e che dovrebbe combattere lungo un fronte di centinaia di chilometri che comprende anche la Siria, senza dimenticare il coinvolgimento di unità scelte iraniane presenti nei pressi di Quneitra (a ridosso del Golan, ndr)».

Sarà così ma nel frattempo i comandi israeliani e americani coordinano i sistemi difesa anti-missile Iron Dome, Patriot, Fionda di Davide e Arrow. «Stiamo imparando molto in vista di future minacce. Ai soldati è richiesto di operare il sistema di armi in un contesto complesso, con missili nemici che distruggono i quartieri dove vivono», ha detto al sito Ynet il tenente colonnello Kobi Regev, responsabile di una batteria del Fionda di Davide. Il Comando europeo dell’esercito statunitense (Eucom) da parte sua fa sapere che, in caso di bisogno, i soldati americani potranno arrivare in Israele in due o tre giorni. Per le esercitazioni congiunte gli Usa schierano anche la portaelicotteri d’assalto USS Iwo Jima e la nave da guerra USS Mount Whitney, il sistema di difesa anti-missile balistico Aegis, 25 aerei. Alle manovre in corso si aggiungono le dichiarazioni fatte a inizio settimana da Benyamin Netanyahu in visita a Washington dove ha incontrato Donald Trump. Il premier israeliano ha insistito sull’appoggio pieno della Casa Bianca a Israele, in particolare su una politica del pugno di ferro contro Iran e Hezbollah.