Da Gaza ieri sera minacciavano di rispondere all’uccisione di due ragazzi, Ali al-Ashqar, 17 anni, e Khaled al Arabi, 14 anni, colpiti a morte dal fuoco dei soldati israeliani durante il 73esimo venerdì di proteste contro il blocco del piccolo territorio palestinese. Altre decine di dimostranti sono stati feriti. I palestinesi parlano di un altro venerdì di spari indiscriminati sui dimostranti disarmati. Per l’esercito israeliano invece morti e feriti erano stati responsabili di atti violenti lungo le linee di demarcazione.

I due ragazzi uccisi, dicevano ieri a Gaza, erano profughi discendenti da altri profughi palestinesi. In totale sono oltre cinque milioni. Chiedono da 71 anni di poter tornare alle terre di origine, come è concesso a tutti i rifugiati. Il governo Netanyahu esclude categoricamente che possano esercitare questo diritto sancito dalla risoluzione 194 delle Nazioni Unite. Nel frattempo crescono le pressioni di Israele e Stati uniti affinché la questione dei rifugiati sparisca e con essa il diritto al ritorno. Nel mirino c’è soprattutto l’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi. L’Amministrazione Trump, con la conferenza economica tenuta in Bahrain a fine giugno, ha segnalato di essere impegnata a convincere i paesi arabi a naturalizzare i profughi palestinesi che ospitano da decenni. L’Amministrazione Usa è convinta di aver spazio di manovra, poiché l’Arabia saudita e gli Emirati dietro le quinte appoggiano l’Accordo del secolo, il presunto “piano di pace” statunitense che esclude diritto al ritorno e indipendenza per i palestinesi.

L’Accordo del secolo sarà annunciato dopo il voto israeliano del 17 settembre. Il quotidiano libanese Al Akhbar scrive che gli Stati Uniti hanno convinto il Canada ad accogliere 100mila profughi palestinesi: 40mila dal Libano e 60mila dalla Siria. Il giornale parla anche di una intesa con la Spagna, pronta a ricevere 16mila rifugiati. Il progetto Usa prevederebbe inoltre la naturalizzazione in Libano tra 75mila e 100mila rifugiati. Dal Canada hanno seccamente smentito la notizia, eppure Washington e Tel Aviv non si lasciano scoraggiare. Certo, Beirut e Damasco hanno alzato un muro ma israeliani e americani confidano di poter convincere la Giordania. Non si può escludere che Amman in cambio di molti miliardi di dollari possa assorbire i suoi due milioni e oltre di rifugiati dalla Palestina, forse offrendo loro una cittadinanza di serie B e poteri politici limitati, in modo da non alterare i fragili equilibri etnici e demografici interni. Una ulteriore spinta all’Accordo del Secolo potrebbe arrivare in qualche modo anche dalla Lega araba, ormai a guida saudita, che pure manifesta sostegno ai palestinesi.

Il successo del piano Usa passa obbligatoriamente per l’uscita di scena dell’Unrwa, simbolo del diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Gli attacchi all’agenzia – a cui gli Usa hanno tagliato le loro donazioni (30% del budget) – sono incessanti. Qualche settimana fa, all’improvviso, è venuto alla luce uno scandalo interno all’Unrwa – abusi di potere e nepotismo – in seguito al quale Svizzera, Belgio e Olanda hanno sospeso i loro finanziamenti. E il ministro degli esteri svizzero Cassis starebbe discutendo con il suo omologo israeliano Katz di “alternative” all’Unrwa. Si vocifera della fine dell’Unrwa nel giro di un paio d’anni e del trasferimento dei profughi palestinesi all’Unhcr che ha criteri molto più restrittivi per la definizione di rifugiato.