i. Ma la lettera con la richiesta di chiarimenti, per quanto quasi minimizzata anche dallo stesso vicepresidente della commissione europea Valdis Dombrovskis contestualmente all’annuncio dell’invio della missiva, c’è. Indirizzata al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che risponderà entro mercoledì. Non arriverà solo all’Italia. Alla Finlandia è già stata recapitata. Nel mazzo oltre a Spagna e Belgio, potrebbe esserci anche la Francia.

IL TEMA PIÙ SPINOSO, quello delle coperture della manovra, non dovrebbe essere stato messo nero su bianco. Il nodo è il deficit strutturale, da sempre la voce più importante per Bruxelles. Il governo prevede un peggioramento dello 0,1% del Pil e ritiene il conto accettabile, avendo l’Italia chiesto flessibilità per lo 0,2% del Pil per le emergenze idrogeologiche e gli interventi di manutenzione sulle infrastrutture. Ma l’Unione europea chiedeva invece un miglioramento dello 0,6%. Dunque la deviazione è notevole. Ma questo per la Ue è un governo amico e dunque al Mef sono convinti che il guaio sarà di portata limitata. Ma è pur sempre un guaio e in questo caso piove sul bagnato.

La giornata di ieri è stata tutta dedicata a ricucire il conflitto nella maggioranza esploso nel peggior weekend nel mese e mezzo di vita del governo. Il primo incontro è tra i due principali contendenti: Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. Parlare di pace fatta sarebbe non un’esagerazione ma una bugia. La lacerazione è profonda. I rapporti, già non idilliaci, sono deteriorati. Il passo indietro del premier, che dopo l’ultimatum di sabato è ora disponibile a rivedere la manovra pur senza riportarla sul tavolo del consiglio dei ministri, permette la tregua. Ma, appunto, è solo una tregua.

NEL POMERIGGIO, segue la raffica di incontri bilaterali tra lo stesso Conte, affiancato da Gualtieri, e le delegazioni di tutti i partiti della maggioranza. Solo al termine della maratona, quando è già quasi notte, parte il vertice di maggioranza destinato a indicare i punti della manovra che verranno rimaneggiati in Parlamento. Quando il vertice apre i battenti c’è accordo su due dei tre punti chiesti, con toni ultimativi, da Di Maio. Verrà introdotto il carcere per i «grandi evasori», e il confine verrà segnato, come già noto da 24 ore, sulla soglia dei 100mila euro. Non ci saranno le multe per i commercianti che non usano il Pos, almeno non sino a che non saranno state riviste le commissioni bancarie. Con la resistenza dell’Abi di mezzo non sarà cosa di pochi giorni.

Sul regime forfettario per le partite Iva sotto i 65mila euro invece l’intesa è più difficile. Per motivi di cassa: tra le richieste di Luigi Di Maio è quella che più incide sul conto complessivo, sui saldi. Rinunciare a quel taglio significa dover trovare la stessa cifra da qualche altra parte e dunque ricominciare tra un paio di giorni col braccio di ferro che, in due settimane, ha già logorato oltre misura governo e maggioranza.

MA ANCHE SE LA NOTTE si concluderà con una fumata bianca non significherà il ritorno alla quiete. La lista dei capitoli in sospeso è lunga e in queste condizioni il passaggio parlamentare sarà tanto estenuante quanto pericoloso. I renziani prendono di mira quota 100, la sugar tax e l’aumento della cedolare sugli affitti. Insistono per sostituire quegli introiti con quello che nella manovra è assente: la spending review. Dal punto di vista dei numeri gli emendamenti di Italia Viva in aula non dovrebbero comportare grossi rischi, anche se al Senato non si può mai dire. Ma politicamente la spaccatura della maggioranza nel voto in aula sulla prima manovra del nuovo governo, oltretutto resa molto più facile del solito dalla «benevolenza» di Bruxelles, sarebbe un colpo durissimo. Sul tetto del contante, portato per ora da 3mila a 2mila euro, le cose potrebbero essere anche più difficili. Su quel fronte, se si saldasse la contrarietà dei renziani e quella dei pentastellati, sarebbero anche i numeri in aula a vacillare, anzi a crollare.

La manovra, insomma, si è già rivelata un percorso di guerra. Ma quel che giustifica l’atmosfera di diffuso pessimismo che si respirava ieri nella stessa maggioranza non è la manovra in sé. E’ il timore che alla fine del percorso il governo arrivi molto più morto che vivo.