La Commissione Ue non ha creduto al miracolo economico prospettato dal governo gialloverde che pensa di raggiungere una crescita dell’1,2% del Pil quest’anno e dell’1,5% nel 2019. Nella migliore delle ipotesi le percentuali saranno molto più basse: 0,9% nel 2018 (1,1% stima ancora l’Ue) e ancora sotto l’1% nel 2019 (1,2%, per la Commissione). Per raggiungere il tetto preventivato dal Documento programmatico di bilancio servirebbe un salto carpiato del sistema economico, quello che il governo auspica quando parla di «manovra espansiva» obbligando i percettori del sussidio di povertà detto impropriamente «reddito di cittadinanza» a spendere la differenza tra il loro reddito Isee e il tetto dei famosi 780 euro mensili in prodotti «italiani». Oppure quando evoca lo sblocco messianico degli investimenti, su fondi europei. Solo nel 2019 l’amministrazione pubblica dovrebbe spendere il 75% dei 2,9 miliardi messi a disposizione dalla legge di bilancio. Il governo Renzi, per fare un esempio, nutriva gli stessi auspici. Inutilmente.

L’INCERTEZZA GENERATA da questo valzer di decimali, che corrispondono a miliardi di euro sonanti, ha portato la Commissione Ue a denunciare il maxi-aumento del deficit: non più l’ormai famoso 2,4%, ma il 2,9% nel 2019 e addirittura il 3,1% nel 2020. Cifre prodotte dal contraccolpo generato dalla sopravvalutazione della crescita da parte del governo. Quest’ultimo, con il ministro dell’Economia Giovanni Tria, si è detto peraltro consapevole di non avere rispetto le intese sul deficit, ma ha continuato a scommettere sugli effetti virtuosi di una «crescita» a cui sono in molti a non credere. Per neutralizzare i dubbi, Tria sostiene di avere ribadito negli incontri con il commissario agli affari economici Moscovici, con l’Eurogruppo, con l’Ecofin i possibili antidoti immaginati dal governo in caso di sconfitta totale delle previsioni. Il governo sostiene di avere stimato in modo prudenziale la crescita, l’effetto che il maggiore gettito fiscale potrebbe avere sui conti pubblici e quindi sul livello del deficit. Al punto che si è più volte spinto a ipotizzare un deficit più basso al 2,1% dovuto al rinvio della partenza del «reddito di precarietà» tra marzo (o febbraio, o anche aprile: grande è la confusione al momento), così come le pensioni «quota 100» il cui inizio potrebbe essere rinviato a settembre. Ciò provocherebbe uno «scivolamento» della spesa programmata e un «alleggerimento» del deficit. Questo artificio contabile potrebbe portare, stando ai calcoli, a un margine di risparmi che potrebbero essere pari a 4 miliardi. Il problema resta sempre la crescita»: se è inferiore, come sembra, allora saranno inferiori anche i risparmi ipotizzati. A questo punto sarebbero del tutto ingiustificate anche le stime di una diminuzione progressiva del deficit al 2,1% nel 2020 e all’1,9% nel 2021.

IL GOVERNO avrebbe anche previsto un simile smacco, prospettando ai giudici del Fiscal Compact una «clausola di salvaguardia» sul bilancio. Il nuovo strumento non prospetterebbe più tagli orizzontali sulla spesa o l’aumento delle aliquote Iva che ogni anno sono «sterilizzate», ma la revisione della spesa in modo che l’obiettivo di deficit non sia superato rispetto al limite posto» ha detto Tria. Non è del tutto chiaro se questo taglio riguarderà solo la nuova spesa per gli interventi sul «reddito» o le pensioni. Il meccanismo presenta aspetti paradossali che fanno assomigliare la manovra a una scommessa di un governo non sicuro delle sue stesse generose previsioni. Si potrebbe persino dare il caso in cui le misure simbolo dei Cinque Stelle e della Lega partino e che il governo sia costretto a tagliare le risorse necessarie per finanziarle. Un pasticcio assurdo che si aggiungerebbe alle penali miliardarie che si annunciano in caso di «bocciatura» della manovra il prossimo 23 novembre. Vorrebbero superare le regole dell’austerità, ma rischiano di applicarle ai loro danni.

SONO LE RAGIONI che hanno portato la Commissione a scrivere che «le misure previste potrebbero rivelarsi meno efficaci, con un impatto minore sulla crescita», Il ministro Tria ha detto che la stima Ue è frutto di una «defaillance tecnica» e riferendosi al calcolo della crescita della spesa pubblica nominale e al saldo strutturale di bilancio contestati dalla Commissione. Quest’ultimo è discusso perché basato su una stima diversa del Pil potenziale che porta a risultati diversi. Per il Ministero dell’economia la sproporzione tra il 2,9% (e 3,1%) della Commissione contro il 2,4% del governo è dovuto a un calcolo sbagliato sul rapporto tra il deficit e il pil nominale.