Questa mattina alle 11 Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri decideranno quale mobilitazione adottare contro la legge di bilancio del governo Draghi. Le critiche non riguardano solo il capitolo pensioni che però resta centrale visto la richiesta di «modifiche strutturali al sistema» che il governo non ha accolto.

La promessa di un «dialogo nelle prossime settimane» sulla «flessibilità in uscita» fatta da Draghi in conferenza stampa giovedì sera non basterà certamente ad evitare una mobilitazione. Molto probabile invece che eviti la proclamazione di uno sciopero, già deciso invece dalla Fiom.

IERI SERA LA CISL DAVA PER SCONTATO che la decisione unitaria fosse quella di mobilitazioni diversificate nei territori e nelle varie categorie con assemblee in tutti i luoghi di lavoro, rafforzando due appuntamenti già previsti: la manifestazione nazionale degli edili di sabato 13 novembre a piazza Santi Apostoli a Roma e quella dei pensionati con gli attivi unitari di Spi Cgil, Fnp Cisl e Uilp – in manovra non c’è alcun aumento delle pensioni – sempre a Roma mercoledì 17.

Sul fronte dei metalmeccanici il passo avanti solitario di giovedì della Fiom – quando il Comitato centrale ha votato all’unanimità un pacchetto di 8 ore di sciopero in attesa della riunione dei segretari confederali di questa mattina – ieri è stato in qualche modo ridotto: è arrivata la proclamazione di uno sciopero unitario: 8 ore per mercoledì 10 novembre all’ex Ilva, ora Acciaierie d’Italia (al 50% di proprietà pubblica) e alla Jsw Piombino. La decisione è arrivata dalle segreterie unitarie di Fim, Fiom e Uilm che hanno anche deciso per la stessa data una manifestazione nazionale da tenersi a Roma con un corteo che presumibilmente potrebbe arrivare sotto al Mise. Un segnale di unità insperato dopo le polemiche che avevano accompagnato giovedì la decisione della Fiom e la rottura dell’unità sindacale in Stellantis sull’accordo sul «polo torinese» che la Fiom non aveva firmato riproponendo la lunga spaccatura in Fca.

L’UNICO LOQUACE ieri è stato Pierpaolo Bombardieri. Alla legge di bilancio del governo il segretario della Uil dà un voto basso: «5 meno meno, con margini di miglioramento». E sulla promessa di confronto Bombardieri è duro: «Al governo avevamo chiesto un tavolo 6 mesi fa. Peraltro, non capisco perché il presidente Draghi continui a parlare di retributivo, che non c’è più: tutti hanno il calcolo contributivo e ci sono solo pochi lavoratori nel sistema misto», prosegue. E su Quota 102 al posto di Quota 100 con innalzamento del requisito di età da 62 a 64 anni (i contributi rimangono a 38 anni) attacca: «È un ambo secco, è una presa in giro, riguarda solo 15mila persone: tranne che per costoro, sostanzialmente, rientra in gioco la Fornero. Inoltre restano problemi strutturali per le future pensioni dei giovani e delle donne».
Nessuna previsione sulla riunione di oggi con Landini e Sbarra ma la certezza di una mobilitazione lunga: «Decideremo insieme il percorso di mobilitazione che sarà lungo, perché dovremo provare a convincere il governo e le Camere ad apportare importanti modifiche», conclude.

Analizzando meglio i sette articoli dedicati alle pensioni su 185 totali della Legge di bilancio – proporzione simile alle risorse previste: 611 milioni su 23,4 miliardi nel 2022 – si evidenziano carenze molto grandi e vere falsificazioni da parte del governo.

«L’innalzamento del requisito per Opzione donna da 58 a 60 anni è una offesa per le lavoratrici – attacca il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli – . In più sull’Ape sociale non c’è alcun allargamento per i lavoratori precoci, coloro che hanno iniziato a lavorare a 18 anni, la tipologia che finora ha usato di più l’anticipo pensionistico. Infine c’è il rischio che le risorse stanziate, solo 141 milioni nel 2022, siano poche e che molti lavoratori siano esclusi», conclude Ghiselli.

SEMPRE SULL’APE SOCIALE, l’allargamento dalle 57 attuali a 221 mansioni – previste nell’allegato A dell’articolo 24 – parrebbe una buona notizia. Ma la categoria più ampia che aspirava a miglioramenti – i 600 mila edili – è stata nuovamente beffata. La commissione del ministero del Lavoro guidata da Cesare Damiano aveva chiesto di semplificare i requisiti richiesti, ma non è stata ascoltata. «Serviva riconoscere l’Ape Sociale agli edili che hanno 30 anni di contributi, e non 36 come oggi, rendendo strutturale questo strumento di uscita, in considerazione della gravosità oggettiva e della discontinuità delle carriere», protesta Alessandro Genovesi, segretario della Fillea Cgil.

Ben 200 milioni dei 611 stanziati sulle pensioni riguardano il «Fondo per l’uscita anticipata dei lavoratori delle imprese in crisi» (articolo 23) che è rivolto a piccole e medie imprese. Il rischio è che si riduca a semplici incentivi una tantum per ottenere le dimissioni dei lavoratori, favorendo solo le imprese che si libererebbero di addetti anziani a spese dello stato.