Renzi non si difende ma attacca. Non aspetta il verdetto della Commissione europea sulla sua manovra, neppure si incontra con Juncker, come previsto sino alla vigilia, ma cerca di mettere subito un punto fermo: «La manovra non cambia. Non abbiamo chiesto che la Ue ci conceda flessibilità ma le clausole eccezionali previste dal trattato per migranti e terremoto». Nella conferenza stampa da Bruxelles il premier italiani va giù a ruota libera: «L’Italia non viene in Europa a farsi dire cosa deve e cosa non deve fare. Non può venire qua a ratificare altrui decisioni, anche perché ogni anno mettiamo 20 miliardi sul tavolo e ne riprendiamo 12. Io non sono Gianburrasca: difendo l’interesse nazionale». Intanto però in serata sembra sia arrivato un primo dietro front: sulla voluntary disclosure per il contante, il condono fiscale che molti avevano definito «legge Corona».

Poi, chi è senza peccato scagli la prima pietra. Procedura d’infrazione? «Che ipotesi suggestiva. Me la aspetto nei confronti dei paesi che violano i patti sui migranti». Mancato rispetto delle regole? «Il bilancio della Germania ha molti problemi a cominciare da un surplus commerciale che non rispetta le regole. Spero che i nostri amici possano provvedere al riequilibrio». Sforamento del tetto nel rapporto deficit/Pil? «La Francia è al 3%, noi al 2,3%. Siamo nella situazione migliore rispetto a tutti gli ultimi governi italiani del passato». Il tutto condito con il dovuto di toni sprezzanti, soprattutto a proposito del vero e proprio odg del Consiglio, l’immigrazione: «Un consiglio di routine. Qualche parola buona ma le parole non bastano. Ci aspettiamo i fatti».

Sembra uno scontro frontale ma a leggere tra le righe si capisce che non è così. Dopo aver tuonato il suo «Ma la manovra non cambia. Punto», Renzi specifica: «La sostanza delle misure non cambia. Non cambiano quelle sulla sanità e i farmaci oncologici restano priorità assoluta». La palla passa quindi alla Commissione: «Sta a loro dirci cosa c’è che non va secondo loro». È un messaggio doppio e nemmeno troppo cifrato. Renzi avverte l’Europa che non potrebbe accettare una richiesta di revisione radicale della manovra nella sua struttura. Sa che proprio quello è il punto più dolente per i tecnici della Ue, la natura per nulla strategica della manovra, il suo essere basata su introiti volatili impossibile da prevedere con certezza, come i proventi della volontary disclosure, e comunque non replicabili in futuro. Su quel fronte però Renzi, col referendum di mezzo, proprio non può cedere e Juncker dovrà farsene una ragione, magari in nome dell’«interesse superiore».

Sul resto, in particolare su quel miliardo e 600mila euro eccedente il tetto fissato da Juncker, su tutto quel che non è «la sostanza delle misure» si potrà trattare, ma a suo tempo e con la dovuta delicatezza.

Il capo del fronte del Sì dedica al referendum uno spazio specifico nella sua prolusione. Conferma di aver chiesto agli eurodeputati di impegnarsi. Ricorda che il voto non è tra lui e D’Alema. Segnala che tanti ex premier sono per il No. Come dire che qui in ballo c’è una sfida tra il passato e il futuro. Ma in realtà tutta la conferenza stampa è campagna referendaria, e il gioco diventa sfacciato quando, a proposito delle misure che non cambieranno, il premier adotta un puro stile Salvini. Citando la necessità di «superare il modello vampiresco di Equitalia». Non che abbia torto quando ricorda che una trattativa come quella che è in corso si ripete a ogni legge di bilancio, ma la scelta di adoperare toni da scazzottata dipende dalla necessità di portare sulle sponde del Sì gli elettori del centrodestra, quelli che proprio parole e accenti del genere vogliono sentire.

Propaganda a parte, però, la situazione della manovra non è affatto facile. Non è arrivata alla Camera neppure ieri, pur essendo scaduti i termini regolamentari già giovedì. Arriverà probabilmente venerdì, ma il ritardo segnala un lavoro di correzione e limature frenetico. M5S e Forza Italia, con Brunetta, denunciano la sfrontata violazione della legge e il forzista chiede l’intervento del capo dello Stato: «Mattarella non ha nulla da dire?». In effetti è una buona domanda.

Il presidente dell’Inps Tito Boeri lancia una granata pesante: la manovra penalizza i giovani e in più il grosso delle quattordicesime va a persone che non sono povere». La replica, balbettante, è del ministro Poletti: «Servono anche provvedimenti con cui rendere più accogliente la società». Davvero imbarazzante.