Stefano Fassina, lei che è stato alla presentazione del libro del ministro Savona, che ne pensa del piano sugli investimenti confermato mercoledì dal presidente Conte?
Savona ha messo in evidenza un punto: il nostro avanzo commerciale di 50 miliardi. Credo però che le sue parole siano state mal interpretate perché si tratta di risparmio privato e non di soldi pubblici da utilizzare per il piano. L’idea di Savona di far leva su questo avanzo per chiedere all’Europa di poter andare in deficit per rilanciare gli investimenti pubblici che in Italia boccheggiano è certamente positiva. Sarebbe la svolta keynesiana che chiediamo da tempo: un Green New Deal per finanziare piccole opere pubbliche per il risanamento idrogeologico e rilanciare il Mezzogiorno. Ma non credo proprio che lo porterà avanti.

Ma anche Tria dà grande importanza al rilancio degli investimenti.
Il punto è che queste riflessioni – non parlerei di piano – annegano in un mare di contraddizioni politiche. Le scelte del governo finora sono state di assoluta continuità macroeconomica con gli scorsi governi che all’Europa hanno chiesto solo flessibilità per finanziare bonus. Lo conferma la variazione al Def in cui il governo ha confermato il rispetto degli impegni sul Fiscal Compact.

Lei quindi non vede Tria come custode dei conti e Savona come quello che vuole rompere con l’Europa?
No, Tria e Savona sono allineati e consapevoli della situazione dell’Italia e dell’importanza del rilancio degli investimenti ma sono condizionati dagli azionisti politici di governo che puntano solamente a sventolare le loro bandierine – flat tax e reddito di cittadinanza – con operazioni di facciata che in realtà sono gusci vuoti.

Tria comunque ha già annunciato che nella manovra ci saranno già alcune misure per la flat tax e per il reddito di cittadinanza.
Con le poche risorse a disposizione entrambe rischiano di essere finanziate con un’operazione redistributiva regressiva sul piano fiscale e anche sul piano sociale. Tria è stato molto chiaro: per finanziare la flat tax ha parlato di un taglio delle detrazioni – il 90 per cento delle cosiddette tax expenditures è dato dalle detrazioni per carichi familiari, mutui e spese sanitarie – che colpiranno i meno abbienti mentre si ridurranno le aliquote ai ricchi. Il reddito di cittadinanza invece assorbirà il Rei e utilizzerà inevitabilmente altri capitoli di spesa sociale.
Sul piano delle entrate invece torna la spending review e si punta alla «pace fiscale», in realtà una grande sanatoria.
Con la spending review per i ministeri ritorna in auge la retorica degli sprechi, quella utilizzata quando non si sanno dove mettere le mani. Ricordo che la spesa per beni e servizi si è ridotta rispetto al Pil e ciò significherà altre esternalizzazioni, blocco del turn over e appalti al massimo ribasso. Il tutto mentre il sanità pubblica è in condizioni devastanti. La pace fiscale invece è semplicemente un condono. E più si alza la soglia del debito fiscale da condonare e più è inaccettabile. I proventi della pace fiscale sono poi una tantum e non possono finanziare riduzioni delle aliquote.

Dal quadro che fa la manovra si annuncia molto di destra.
Sì, mi aspetto per l’autunno una sorta di zapaterismo alla rovescia: se Zapatero rispose all’impossibilità di manovre economiche espansive allargando i diritti civili, il governo Lega-M5s nella stessa situazione di impotenza sul terreno economico risponderà con un attacco sempre più forte contro i diritti sociali, a partire dai migranti. Questa è e sarà sempre di più la cifra politica del governo.

La sua contromanovra invece con che misura partirebbe?
Il problema principale è rianimare la crescita e la domanda interna. Oltre agli investimenti serve più spesa sociale su lavoro, scuola e sanità e interventi di contrasto alla povertà. Poi è necessario mettere mano ai nodi drammatici delle pensioni: chi non l’ha o avrà e chi non ce la fa a stare al lavoro.

Lei però ha apprezzato alcune prese di posizione sovraniste del governo. Ha cambiato idea?
Trovo corrispondenze con alcune persone che sono nel governo – come Savona – ma sono state messe in un angolo. Con l’Europa serve fare forzature intelligenti per uscire dai vincoli di bilancio.

La sua definizione di «patriottismo costituzionale» però a molti a sinistra non è piaciuta. «Patria» è una parola di destra.
L’abbiamo regalata alla destra: nelle lettere dei partigiani compare spesso. Continuando così non saremo in grado di parlare ad una grande fetta di popolo. Dobbiamo prendere atto che mercato unico e euro sono fattori di aggravamento della globalizzazione. Sono fattori costitutivi, frutto di interessi nazionali e sociali, non errori o conseguenze di incompiutezza politica. Le condizioni storico-politiche per correggere i trattati non esistono. Dobbiamo conquistare strumenti per la sovranità democratica a livello nazionale forzando in senso costituzionale i trattati. Per un’Unione della cooperazione, alternativa al liberismo. L’8 settembre a Roma faremo l’assemblea di avvio di un’associazione politica sull’asse patria e costituzione.