Per Zingaretti «ha vinto l’Italia». Per moltissimi è stato invece un successo «di tutta la coalizione». Renzi è meno ecumenico: «Abbiamo vinto noi». Intende Italia Viva che «ha lottato con forza per evitare l’aumento delle tasse». Non gli si può dar torto. Tassa sull’auto eliminata, Plastic Tax ridotta dell’85 per cento con entrata in vigore a partire dal prossimo luglio, Sugar Tax rinviata a ottobre.

METTENDO SUL TAVOLO LA CRISI, secondo il modus operandi tipico del giocatore d’azzardo che gli è proprio, Renzi ha portato a casa quasi tutti i suoi obiettivi, rinunciando solo a quel poco necessario perché i compagni di maggioranza possano rivendicare il merito di aver salvato «il principio».

A QUESTO PUNTO la manovra dovrà correre. Ieri è arrivato il primo pacchetto di emendamento dei relatori. C’è il decreto Alitalia, con Giuseppe Leogrande già nominato supercommissario, e c’è, meno prevista, una norma per la proroga sino al 2022 della stabilizzazione dei precari. Potranno inoltre essere assunti, per supplire alle carenze d’organico, anche gli idonei non vincitori. Nel giochino di chi vince e chi perde il ministro della Sanità Speranza può vantare risultati notevoli, nel quadro di povertà generale di questa manovra: eliminazione dei superticket e ora norma sui precari.

LA SECONDA ONDATA di emendamenti arriverà lunedì e dovrebbe comprendere anche quelli della Camera. A Montecitorio, di conseguenza, il testo sarà probabilmente (perché la decisione finale non è ancora stata presa) blindato, non modificabile. È l’unico modo per evitare la seconda lettura e vincere la gara contro il tempo che inizierà domani e proseguirà per due settimane, week end inclusi.

LA COMMISSIONE BILANCIO del Senato voterà nei prossimi tre giorni. L’agenda prevede l’approdo in aula del testo giovedì e la partenza alla volta della Camera venerdì. Il Parlamento dovrà in queste due settimane esaminare non solo la legge di Bilancio vera e propria ma anche quattro decreti in scadenza, fiscale, clima, sisma e scuola. Quest’ultimo è fondamentale per il ministro dell’Istruzione Fioramonti, che non ha rinunciato alla richiesta di 3 miliardi per la scuola.

IN PIÙ, A RENDERE PIÙ FITTO un calendario già da marcia forzata, mercoledì sarà di nuovo in aula il Mes, il meccanismo europeo di stabilità. Nella maggioranza continua a non esserci accordo. Se si dovesse arrivare subito a una risoluzione chiara, evitare la rottura sarebbe molto difficile. Per fortuna c’è sempre «san rinvio», che dovrebbe permettere una risoluzione tanto vaga da rimandare il momento della verità al prossimo 27 gennaio, ma non lo si può dire con certezza.

Il problema è che per evitare la seconda lettura la Camera dovrebbe rinunciare a correggere la manovra. L’opposizione già protesta a voce alta. «Il governo umilia il Parlamento», protesta la capogruppo forzista al Senato Bernini. «Tagliare fuori la Camera è incostituzionale», rincara da Montecitorio il leghista Borghi e mette il dito nella piaga.

IN REALTÀ L’ANNO SCORSO le cose andarono allo stesso modo, solo che allora il Pd era all’opposizione e presentò ricorso alla Corte costituzionale definendo «inaccettabile» che la manovra arrivasse «blindata, senza che nulla sia stato discusso». Italia Viva allora non esisteva ma tra i più veementi parlamentari del Pd c’era Marattin, oggi economista di punta di Iv, che si scagliava contro l’ «iter arrogante e cialtrone».

LA CONSULTA, pur respingendo il ricorso per conflitto d’attribuzione, diede ragione al Pd. Riconobbe che c’era stata «una compressione dell’iter parlamentare», parzialmente giustificato però dal lungo braccio di ferro con la Ue che aveva costretto a rideterminare i saldi. Fece però capire chiaramente che il fattaccio non avrebbe dovuto ripetersi. Rischia invece di ripetersi e stavolta senza alibi europeo. Non solo le proteste ma anche il ricorso dell’opposizione presso la Corte sono garantiti. Per questo al Mef non sono ancora convinti di usare il metodo draconiano.