Al Quirinale è arrivata giovedì sera, però «sbollinata», cioè priva della bollinatura della Ragioneria dello Stato. Praticamentre un brogliaccio. Sembra che il testo della legge di stabilità, quello vero, sia stato recapitato ieri al Colle, ma neppure questo è del tutto certo. Il Senato dovrà attendere lunedì prossimo: la metro di Roma è più puntuale. Prima di sbrigare la faccenda, però, l’aula dovrà votare la legge sull’ambiente, con tanto di seduta notturna martedì. La commissione Bilancio inizierà dunque le audizioni, salvo ulteriori e possibili rinvii, giovedì 29 ottobre. Dovrebbe finire il 3 novembre, però, afferma il neopresidente della commissione, e la faccenda potrebbe anche allungarsi fino al 5 novembre: «Ma non oltre».

Insomma, ci sarebbe stato tutto il tempo di approvare le unioni civili se il governo, oltre a sbandierarle, avesse anche voluto vararle sul serio. Comunque niente paura: se la manovra è ancora avvolta dalla nebbia, il voto di fiducia con il quale verrà imposta è già un fatto acclarato. «La legge deve essere approvata così com’è, anche ricorrendo al voto di fiducia», conferma l’ex ministro Maurizio Sacconi, Ncd.

Sarà una commissione più marcatamente renziana quella che si dovrà vistare una manovra scritta con l’occhio rivolto alle prossime elezioni amministrative molto più che non alla sempre citata “ripresa”: a guidarla, al posto dell’Ncd Azzollini c’è una figura tra le più eminenti della guardia di ferro renziana, Giorgio Tonini e, almeno fino alla fine della sessione di Bilancio, il Pd manterrà anche la postazione della vicepresidenza, occupata da Gian Carlo Sangalli. Meglio di così, per fronteggiare l’opposizione, non si poteva fare.

Comunque il testo, atteso invano per giorni sul Colle, infine c’è. Però non è detto che sia quello giusto. A sollevare il sospetto, è l’ex ministro e attuale leader di Italia civica Corrado Passera. Sul sito del ministero delle Finanze, segnala infatti il neonato movimento, buona parte delle tabelle sono oscurate dal celeberrimo omissis. Invece nel sito della Ue non è omesso nulla, e da quelle tabelle risulta che la pressione fiscale dovrebbe salire l’anno prossimo dello 0,5%, toccando il tetto mai raggiunto in precedenza del 44,2%. «Il ministro Padoan – recita la nota di Italia unica – è in grado di smentirci? E come mai ha deciso di non rendere pubbliche le tabelle in Italia?». Brunetta ovviamente rincara: «A Bruxelles è stato mandato un testo diverso? Renzi pensa di imbrogliare così gli italiani? Mattarella verifichi che il testo inviato alla Ue sia lo stesso mandato a Quirinale e Parlamento».

In realtà, anche se le tabelle risultassero diverse, ciò non significherebbe automaticamente che il governo di Matteo Renzi sta cercando di turlupinare il suoi governati. In linea di principio l’obiettivo potrebbe anche essere quello di prendere invece in giro l’Europa, ma in un caso o nell’altro, la figura non sarebbe brillante. Però tra ritardi, testi sbollinati, omissis e versioni diverse della legge, il sospetto che dietro la propaganda scintillante di Renzi e Padoan si celi una realtà meno confortante è più che lecito. Il solenne impegno sull’evitare a tutti i costi nuovi tagli alla spesa si è già rivelato una bufala da manuale: tra ticket sulla sanità, imposti dalla riduzione del Fondo sanitario nazionale di 4 miliardi, e ghigliottina del turn-over per gli impiegati della Pubblica amministrazione i tagli ci saranno eccome, e non è affatto certo che si fermeranno qui. L’alibi è che ogni sforzo è necessario pur di raggiungere il meritorio obiettivo di abbassare la pressione fiscale. «Le tasse devono scendere», ha proclamato con cesariana concisione Padoan. Più precisamente gli italiani devono esserne convinti, a torto o a ragione, prima di entrare nelle urne la primavera prossima, per una prova che per Renzi è di vitale importanza. Se dovesse venire fuori che la pressione fiscale, nonostante l’eliminazione della Tasi, non diminuisce e anzi aumenta, la mazzata in termini di popolarità sarebbe micidiale.

Intanto dovrebbe essere infine chiarito il mistero del canone Rai in bolletta: sarà addebitato, tutto insieme, nella prima bolletta elettrica successiva alla scadenza del canone. Tanto, mazzata più, mazzata meno…