In una fase di post disintermediazione il dialogo sociale si fa nei convegni – in pubblico – e nei seminari di partito – al riparo da occhi indiscreti. Tutto succede in un solo giorno. E vedere – in pubblico – seduti allo stesso tavolo il ministro dell’Economia e il segretario generale del più grande sindacato diventa una notizia, specie alla vigilia della presentazione della manovra.
Capita al convegno sulla «Buona finanza» organizzato in Cgil dalla Fisac, la federazione dei bancari. Pier Carlo Padoan ha già frequentato questi lidi quando lavorava all’Ocse ed è a suo agio. Alla sinistra di Susanna Camusso è invece seduto Antonio Patuelli, intramontabile carrierista politico (partì nel Pli) e ora saldamente alla guida dell’Abi, nonostante le crisi e gli scandali.
Tutta l’attesa però è sul capitolo manovra. E su questo Padoan continua a scoprirsi il giusto: «Insomma, volete che vi racconto la legge di stabilità?», scherza all’inizio del suo secondo intervento. E difatti ne parla pochissimo, prendendola larga. «Il lavoro è il metro definitivo di ogni politica economica, lo dico da sempre, anche prima di questo lavoro pro-tempore». E rispondendo alle critiche sugli sgravi alle imprese del Jobs act abbozza: «Non c’è bacchetta magica per crearlo, servono più strategie: tasse, incentivi e politica industriale e possono dare effetti in tempi diversi. Il problema vero è che l’Euro non ha prodotto lavoro». Sul nodo sgravi per le assunzioni dei giovani e cuneo fiscale – unica certezza per la manovra – arriva una difesa poco convinta: «È chiaro che gli incentivi si esauriscono per i vincoli di finanza pubblica ed è difficile trasformarli in permamenti. Quelli temporanei (quelli del Jobs act che esaurendosi hanno fatto crollare le assunzioni a tempo indeterminato, ndr) accelerano un processo, danno una spinta, quando lo stimolo si affievolisce gli effetti calano». In conclusione del ragionamento arriva inaspettata l’ammissione del dubbio che assilla via XX Settembre: «Naturalmente ci si può sbagliare sugli strumenti e posso assicurare che c’è dibattito all’interno del nostro ministero».
Se nemmeno sui numeri «della nota di aggiornamento al Def» arriva qualche cifra, Padoan ribadisce e specifica meglio le linee guida della manovra – e qua bisogna essere attenti perfino all’uso dei superlativi – : «L’occupazione giovanile è una delle pochissime cose che le risorse a disposizione ci permettono di aggredire direttamente». Per il resto l’altro capitolo della fu legge finanziaria anticipato dal ministro dell’Economia è quello degli investimenti. «È la variabile che è venuta a mancare per il rigore post-crisi e noi in Italia lo abbiamo subito di più rispetto a Francia e Germania per gli impedimenti strutturali che ci caratterizzano. Ora però – rivendica Padoan – abbiamo recuperato perché siamo convinti che gli investimenti siamo un veicolo di innovazione e rinnoveremo un piano di istruzione pluriennale ed allargheremo il piano investimenti che l’anno scorso arrivò a 43 miliardi». Anche qui alla fine arriva un «mea culpa»: «Abbiamo un problema di implementazione perché è la nostra pubblica amministrazione che non ce la fa, ma stiamo migliorando», conclude chiosando ancora sui giovani: «Investimenti e incentivi sono le due gambe di abbozzo per una politica per i giovani».
La traduzione politica di quanto detto – e non detto – dal ministro dell’Economia sulla manovra arriva subito dopo da Susanna Camusso: «Se dovessi dare una lettura direi che non c’è niente per le pensioni (richiesta numero uno della Cgil, ndr) e che invece continuano ad esserci gli incentivi alle imprese allargate quest’anno alla voce formazione».
Da qui il segretario generale della Cgil parte per la critica all’espressione ormai proverbiale di Padoan – «il sentiero stretto» che significa: poche risorse a disposizione. «Di risorse in questi anni ne sono state date 40 miliardi alle imprese e ora vorremmo sapere perché quando si parla di cuneo fiscale si pensa sempre alle imprese e mai al lato dei lavoratori», attacca. Poi arriva la proposta: «Gli 80 euro sono stati una tassa contro la contrattazione perché dopo quella scelta ogni aumento salariale rischiava di far saltare il bonus ai lavoratori che poi se la prendevano con noi. Allora noi diciamo: non si possono trasformare gli 80 euro in detrazioni? Estendendoli a tutti?». Infine arriva la critica alla decontribuzione: «È concorrenziale all’apprendistato. Incentiviamolo fiscalmente invece». La premessa all’intervento di Camusso era stata: «Credo che dovremmo prevedere il diritto di replica al ministro dell’Economia». Ma la post disintermediazione non è ancora così sentita nel governo. E Padoan se ne va senza replicare. Lasciando a tutti l’idea che la contromanovra della Cgil sia molto più efficace e meno costosa.