Più che illustrare una legge di bilancio ieri Mario Draghi ne ha elencato i titoli e gli obiettivi. Per il resto tutto è rinviato a date da destinarsi. Qualcosa si capirà presto, perché una scelta su cosa fare con gli 8 mld destinati all’intervento sul fisco (più 4 invece già allocati) andrà fatta entro i prossimi mesi. Qualcosa invece resterà incerta più a lungo, perché i tempi del “dialogo” sulle pensioni si prolungheranno ben oltre l’approvazione della legge di bilancio. In ogni caso è evidente che buona parte delle scelte davvero rilevanti, non solo su fisco e pensioni ma anche sul rimaneggiamento che promette di essere radicale del RdC sono state rinviate.

Non è questo il primo governo che punta sul rinvio. Conte, anzi, aveva portato quella strategia a livelli quasi patologici. Però è la prima volta che lo fa Mario Draghi. Così come è la prima volta che il premier Draghi svicola dai problemi negandone l’esistenza, altra abitudine non proprio lodevole della politica italiana. Sentir dire che “Non c’è stata nessuna rottura con i sindacati” proprio mentre la Fiom proclamava lo sciopero evoca ricordi anche recenti che somigliano poco al metodo diretto, a volte anche brusco, adoperato sin qui dal premier.

Non è una coincidenza. Questa legge di bilancio per Draghi è il battesimo del fuoco. Sin qui, grazie all’autorevolezza del suo nome, alla pandemia e a un contesto generale che relega la politica in una condizione di estrema debolezza, il premier non si è mai dovuto misurare con la complessità con cui si trova alle prese chiunque governi. Le diverse esigenze, sia di bandiera che di rappresentanza sociale dei partiti, il peso delle forze sociali e l’ostacolo dei loro interessi spesso confliggenti e non ricomponibili solo evocando l’orizzonte della crescita.

In un primo momento Draghi ha tentato di sbrogliare la matassa con il celebre metodo di Gordio: poca mediazione e molto decisionismo. Stavolta si è dovuto rendere conto che quel metodo non può essere adoperato in ogni circostanza. Ha dovuto cercare una mediazione con i 5S di Conte sul Reddito, cedere alle insistenze del Pd, che non reggerebbe l’urto di uno sciopero generale, per cercare di recuperare un rapporto con i sindacati interrotto bruscamente meno di tre giorni fa con quel secco “Indietro non si torna”.

È un cambio se non della rotta almeno della velocità di navigazione inevitabile persino per Draghi, perché non si può governare un Paese complesso con lo stile adeguato in condizioni eccezionali come l’emergenza sanitaria. Ma per ora si è limitato, come molti suoi predecessori a prendere tempo. La capacità misurarsi con il mix di drasticità e capacità di mediare, decisionismo e ascolto, che costituisce l’anima della politica dovrà dimostrarla nelle prossime settimane e nei prossim