La manovra prosegue arrancando. Ieri mattina un vertice fiume tra maggioranza e governo. Poi una serie di incontri tra i tre relatori e i partiti per mettere a punto un pacchetto di emendamento condivisi ha imposto di sconvocare le riunioni della commissione Bilancio di ieri sera e di stamattina. La commissione dovrebbe comunque concludere l’esame degli emendamenti entro domenica prossima. La manovra arriverà nell’aula del Senato martedì 21 e sarà approvata con la fiducia il giorno seguente. Poi tra il 27 e il 30 sarà il turno della Camera. Una tabella di marcia che sul ruolo reale del parlamento nella Repubblica parlamentare italiana dice proprio tutto.

OGGI COMUNQUE arriveranno gli emendamenti del governo. Il Pd alza la voce, si mette di mezzo sul fronte del rinvio del pagamento delle cartelle esattoriali. L’accordo con Lega e Forza Italia era sino a ieri mattina «una congrua e ulteriore dilazione delle cartelle esattoriali». Il Pd si schiera contro: «C’è un accordo complessivo sugli 8 miliardi stanziati e prevedeva che le cartelle non venissero toccate. Ma se l’accordo viene riaperto, allora viene riaperto per tutti», avverte minaccioso il vicecapogruppo vicario dei senatori Pd Alan Ferrari. Fa sul serio? Probabilmente l’interrogativo resterà inevaso perché l’ipotesi che sembrava essersi imposta ieri sera era quella di un rinvio della questione a gennaio. La avrebbe spuntata la viceministra 5 Stelle Laura Castelli che insiste per non affrontare il tema in manovra.

È anche questa una dimostrazione del caos che continua a regnare nel M5S. Sul fronte del fisco il grosso del Movimento è più vicino alle posizioni della destra che non a quelle dei fidanzati del Pd. Con la dovuta discrezione, per non turbare l’armonia, i pentastellati avevano già spalleggiato Lega, Forza Italia e Italia viva al momento di affossare il «contributo di solidarietà» e nell’incontro di lunedì scorso con Mario Draghi, l’ex premier Giuseppe Conte si era schierato a favore del rinvio. La partita non è ancora chiusa ma se dovesse spuntarla in extremis la destra la reazione del Pd non andrà oltre un’innocua presentazione di subemendamenti agli emendamenti del governo. L’intemerata del serve soprattutto a cercare di tenere aperta la comunicazione con la Cgil, nonostante lo sciopero generale di domani che in realtà prende di mira il Nazareno non meno di palazzo Chigi.

TRA GLI EMENDAMENTI del governo la postazione eminente è riservata all’intervento contro il caro bollette, illustrato ieri ai ministri dal ministro dell’Economia Daniele Franco che ha confermato la cifra di 3,8 miliardi. Alla riduzione degli oneri di sistema per le utenze più basse, fino a 16,5 Kw andranno un miliardo e 800 milioni, altri 900 milioni saranno destinati al congelamento degli aumenti per le fasce più povere e 600 milioni serviranno a dimezzare l’Iva sul metano, dal 10 al 5%. Ma anche questa è una voce che ieri sera era ancora in attesa di assetto definitivo. Lo stanziamento per la scuola non andrà invece oltre i 200 milioni. Risibile. La sospensione della tassa per i tavolini all’aperto di bar e ristoranti verrà prorogata ma salvo sorprese non oltre il prossimo marzo.

UN CAPITOLO DELICATISSIMO è quello del superbonus. A Draghi e Franco quella misura, fiore all’occhiello dei 5 Stelle, non piace affatto e negli incontri con le delegazioni dei partiti non ne hanno fatto mistero. Ritengono che, nonostante i vantaggi tra cui la creazione di posti di lavoro e l’emersione del nero, costi troppo. Ma a insistere per prorogarne i tempi e per eliminare il tetto dei 25mila euro Isee per le abitazioni monofamiliari non è solo Conte. Su quel punto la maggioranza parla davvero con una voce sola e Draghi avrebbe già finito per arrendersi. Mettendo però un paletto: la norma si applicherebbe solo agli edifici con il 30% dei lavori già terminati.