Il Bollettino economico di Bankitalia diffuso ieri certifica che «il Governo ha rivisto l’obiettivo per l’indebitamento netto dell’anno in corso dal 2,3% al 2,1%». Aggiunge che detto obiettivo «verrebbe conseguito grazie alle misure correttive aggiuntive definite alla luce dell’interazione con le autorità europee». Le quali autorità, però, non conoscono ancora quelle misure, così come non le conosce nessuno. Nella conferenza stampa del Def, Padoan aveva assicurato che il contenuto della manovra correttiva sarebbe stato reso noto il giorno successivo. Non se ne è più saputo niente e prevedibilmente non se ne saprà niente fino almeno a martedì.

A Bruxelles non si scompongono. Ricordano che la deadline è il 30 aprile ma si dicono certi, sulla base di quanto garantito da Padoan, che le «misure» non solo rispetteranno gli accordi nell’ammontare del totale, 3,4 mld, ma saranno anche «strutturali». Nel linguaggio obliquo della diplomazia di Bruxelles è un monito.

Neppure nel merito del Def la Commissione si è ancora espressa, limitandosi a una valutazione positiva sull’impegno a ridurre il debito. Informalmente però Bruxelles fa capire che il banco di prova sarà la riduzione del rapporto deficit/Pil dal 2,1% all’1,2%. Si tratta di uno sforzo quasi titanico, tanto più che nello stesso periodo sarà sul banco delle trattative la strada per disinnescare l’aumento dell’Iva in base alle clausole di salvaguardia. Proprio dall’Ue, inoltre, sembra sia partito l’input per scrivere nel Def che l’Italia deve farsi trovare pronta per la fine del Quantitative easing, nel 2018.

La difficoltà nel trovare un accordo con Renzi anche su una cifra molto limitata come quella che ancora manca per definire la manovrina, circa 600 milioni, rivela quanto sarà arduo trovare la quadra su numeri di ben altra entità. Dal punto di vista economico la partita è quasi disperata. Se anche l’Italia vincesse la scommessa di una crescita del Pil dell’1,1%, dovrà comunque affrontare la chiusura dei rubinetti di Draghi in condizioni di crescita sfavorevoli. Gli umori che filtrano Bruxelles non sembrano di buon auspicio per la richiesta di nuova flessibilità che l’Italia dovrà avanzare, anche perché nel 2018 dovrà essere valutato l’uso che Roma ha fatto della flessibilità sin qui concessa. A quel punto la partita della prossima legge di bilancio sarà conclusa, ma la disposizione in vista della valutazione del giugno 2018 peserà sulle scelte del settembre 2017.

In compenso il quadro politico è molto più promettente ed è su quello che scommette Renzi. La piazza chiave è quella tedesca. Una vittoria di Schultz, o una sua affermazione tanto robusta da condizionare le politiche di un nuovo governo di coalizione, potrebbe cambiare se non tutto certo molto. Se al ministero delle Finanze di Berlino non siederà più Schaeuble anche per i conti di Roma tutto diventerà molto più facile.