Pier Carlo Padoan è tra due fuochi. Non è la prima volta che il ministro dell’Economia si trova in questa scomoda situazione, ma ora il tempo stringe, il momento della verità si avvicina. Il volume di fuoco più elevato lo alza l’Europa. Il gran giorno della festa di Roma sarà domani, ma per l’Italia la data cruciale è oggi. Padoan incontrerà Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione europea e figura chiave nella squadra dei duri. L’agenda prevede un solo argomento: la manovra correttiva. Deve arrivare entro il 30 aprile. Il governo vagheggia un anticipo che frutterebbe un’ottima figura. La Commissione però si fida poco.

L’incontro, anticipa Dombrovskis, «serve per vedere quali misure la autorità italiane si stanno preparando a prendere». Al confine ultimo fissato per evitare la procedura di infrazione manca oltre un mese ma la Commissione vuole capire in anticipo quali siano le vere intenzioni del governo e cala sul tavolo la carta più minacciosa.

La manovra in sé, lascia capire molto chiaramente Valdis Dombrovskis, è una bazzecola perché «naturalmente sappiamo che le sfide che l’Italia ha davanti a sé sono più ampie: un livello di debito privato e pubblico molto alto, un basso potenziale di crescita, bassa crescita della produttività. Tutte queste aree devono essere affrontate. Ci aspettiamo un programma di riforme ambizioso, in cui il governo delinei come intende affrontare quelle sfide».

E’ un messaggio doppio. Il falco della Commissione dice all’Italia che, in condizioni così critiche, fare scherzi sulla manovra aggiuntiva vorrebbe dire andare incontro a guai molto grossi. Ma avverte anche di non farsi illusioni: la manovra è un passo obbligato ma tutt’altro che risolutivo. I problemi seri arriveranno subito dopo. Tanto presto che conviene iniziare a parlarne immediatamente. Anche perché entro il 10 aprile sarà presentato alle Camere il Def, che per la Ue dovrà essere il primo passo verso le «ambiziose riforme» indicate da Dombrovskis.

Per Padoan sarebbe già una grana enorme. Lo è ancora di più perché sul fronte opposto apre il fuoco anche il Pd. A tirare per primo è il reggente del Pd Matteo Orfini, con un’intervista a Repubblica nella quale la carica contro Padoan e Calenda, i ministri tecnici accusati di sottomettersi ai diktat europei, è quasi esplicita: «Hanno svolto un ottimo lavoro ma in questa fase le loro competenze vanno integrate con una visione politica. Non possiamo perdere la spinta politica nell’azione di governo». L’ex premier, che è il vero regista dell’offensiva, rincara con un’intervista ad Avvenire. Sdegnoso il commento sulle pressioni dell’Europa: «Richiesta esosa: tutti gli anni discutiamo di qualche zero virgola». Chiaro il monito: «Sono certo che Padoan avrà la sensibilità di confrontarsi con il reggente del Pd, i capigruppo e i ministri del nostro partito». Precisa la richiesta, che somiglia da vicino a un ordine: «Trovare una soluzione, che è ampiamente alla nostra portata senza alzare le tasse». E’ questo del resto anche il senso dei richiami di Orfini alla «visione politica». Non si può rinnegare la bandiera del governo Renzi solo perché lo pretende l’Europa.

In concreto l’ordine di Renzi significa niente aumento delle accise sulla benzina, perché quella è roba che fa infuriare gli elettori. Ma anche niente privatizzazioni, perché l’intesa con Franceschini che ha portato alla Notte dei lunghi coltelli in Poste, con il repulisti di tutti i dirigenti in area Padoan, si basa proprio sul no alla seconda tranche della privatizzazione delle Poste, cioè di quella che era la vera arma segreta del ministro dell’Economia.

Renzi tuttavia conferma che il termine stabilito per la manovrina sarà rispettato. La sua idea non è quella di uno scontro aperto con la Commissione. E’ un tipico gioco delle tre carte: una manovra fatta di voci sufficienti sulla carta ma solo su quella perché rigorosamente ipotetiche e così prendere tempo ed evitare misure penalizzanti sul piano elettorale.

Il problema è che proprio una manovra simile è quello che teme la Commissione e che Dombrovskis vuole accertarsi oggi stesso non sia nei piani di Padoan. Cosa possa fare il governo, stretto tra queste pressioni contrastanti e in sé fragilissimo perché privo sia di successi da vantare sia di strategie da tentare, resta per ora un mistero