La Nota di aggiornamento al Def slitta sino al 30 settembre, limite massimo. Era prevista per domani ma già ieri mattina si è capito che sarebbe stato inevitabile sforare i tempi e poi nel pomeriggio il vertice convocato a palazzo Chigi con il premier Conte, il ministro dell’economia Gualtieri, i viceministri Castelli e Misiani, Franceschini e Fraccaro ha certificato. La nuova tabella fissa il varo per lunedì prossimo, il passaggio al Senato forse intorno all’8 o al 9 ottobre, quello alla Camera per il 10 ottobre. La legge di bilancio vera e propria dovrebbe vedere la luce il 20, ma slitterà probabilmente, come sempre del resto, fino alla fine del mese. Il 15 però la Nadef dovrà essere a Bruxelles per l’esame della commissione europea.

IL RINVIO, IN PARTE, serve proprio a definire la trattativa con Bruxelles. Il governo spera di ottenere una flessibilità intorno allo 0,5% del Pil più le spese eccezionali per ponte il Morandi e il dissesto idrogeologico. Nel complesso circa 11 miliardi che, su una manovra fissata intorno ai 30 miliardi, sarebbero la classica mano santa. Ma chiedere non è ottenere è l’ambiziosa idea iniziale di fissare il deficit del prossimo anno al 2,3%, appena un decimale meno di quel 2,4% che l’anno scorso il governo gialloverde aveva rumorosamente festeggiato salvo poi doverselo rimangiare, è già tramontata. Il ministro Roberto Gualtieri spera ancora di piantare la bandierina sul 2,2% ma è probabile che l’Italia finirà per doversi accontentare di un deficit al 2,1%.

IN REALTÀ IL WEEKEND serve anche a definire la trattativa interna al governo, e più specificamente con i 5 Stelle. Al momento i 30 miliardi sono essenzialmente ripartiti nella sterilizzazione dell’aumento Iva, che se ne porterà via ben 23, nelle classiche «spese indifferibili», pari a circa 2 miliardi, e nei 5 miliardi necessari all’intervento, ancora tutto da definirsi ma per l’M5S irrinunciabile, sul cuneo fiscale. Per il Movimento la lista è troppo povera. Sicuramente mira a inserire nel listone i fondi per l’istruzione ma Luigi Di Maio, da New York, insiste con l’obiettivo più ambizioso, il salario minimo. Il tutto, sommato ai fondi per il cuneo, arriverebbe intorno alla decina di miliardi e il gruzzolo da recuperare in qualche modo, ancora oscuro, sarebbe dunque intorno ai 20 miliardi. Se Gualtieri riuscirà a convincere i 5 Stelle a moderare le pretese o se imporrà la diluizione in tre anni della misura sul cuneo a favore dei lavoratori, ci saranno comunque 15 miliardi da trovare.

MA QUESTI CONTI sono solo teorici. Non si è mai vista una legge di bilancio senza aumento delle spese previste nel Def e non è affatto probabile che gli altri componenti della maggioranza evitino di avanzare richieste o pretese. Matteo Renzi, per esempio, ha già chiarito che Italia Viva «farà le sue proposte» e con una ministra della Famiglia renziana, Elena Bonetti, è facile prevedere che si tradurranno in richiesta di fondi appunto per la famiglia, probabilmente con l’intervento sugli asili nido solennemente promesso proprio da Conte nel corso del rovente agosto.

IL QUADRO COMPLESSIVO non aiuta. E’ vero che la caduta in picchiata dello spread dovrebbe fruttare un paio di miliardi e che ci sono stati risparmi sia su Quota 100 che sul Reddito di cittadinanza, ma è anche vero che i conti che dovranno essere trasferiti nero su bianco nel Documento indicano, con lo 0,5%, una crescita dimezzata rispetto alle previsioni del governo in aprile e nettamente più bassa anche rispetto al più prudente 0,7% previsto dalla Commissione Ue. Il debito, anziché scendere come nelle rosee previsioni del governo gialloverde, si è impennato sino quasi al 135% del Pil e il quadro europeo, con una crisi che non accenna a migliorare e che punisce le esportazioni italiane con la Germania, peggiora la situazione.

IL PUNTO DOLENTE sono quindi le voci di entrata, le coperture. Per ora non si scosta dal copione abituale: risparmi sulla spesa e lotta all’evasione fiscale, il vero ariete che dovrebbe moltiplicare gli introiti grazie agli incentivi sui pagamenti sempre con carta di credito. Dovrebbe fruttare, secondo il governo, «diversi miliardi». Va da sé che si tratta di introiti puramente ipotetici. Bruxelles un po’ fingerà di non vedere ma un po’ reclamerà qualcosa di più preciso. Qualche tassa più o meno nascosta Di Maio e Renzi, oltre ai contribuenti, dovranno ingoiarla.