Il momento della verità ormai è dietro l’angolo. Che il primo vero scoglio sulla rotta del vascello gialloverde sarebbe stata la legge di bilancio era chiaro sin dall’inizio. Ma ormai il tempo stringe e le condizioni ambientali non sono certo le migliori. Lo spread a 293 punti ancora prima che la partita si apra ufficialmente indica che il rischio di una tempesta nei mercati è concreto ed è un elemento che peserà sulla scelte del governo.

L’EUROPA CONFERMA i suoi moniti. Lo fa, con l’abituale diplomazia, il commissario per gli affari economici e monetari Pierre Moscovici. Promette che, «nonostante il tono in alcuni casi scortese» dell’Italia, la commissione sarà «costruttiva». Ma con paletti rigidi: «Una correzione corposa dei conti per il 2019 sarà necessaria». Moscovici promuove il ministro dell’economia Giovanni Tria ma boccia senza appello qualsiasi velleità di sforare il tetto del 3%, ipotesi avanzata soprattutto da Luigi Di Maio: «Lo sforamento provocherebbe difficoltà che neppure voglio immaginare. L’1,3% del Pil non è un target ma un tetto». Con perfetta sintonia, un alto funzionario Ue, nell’anonimato, rincara la dose: «Se le regole non verranno seguite mi preoccupo io ma potrebbero preoccuparsi anche i mercati».

LA COMMISSIONE ASPETTA la nota di aggiustamento al Def per il 27 settembre. L’eventuale rottura del parametro equivarrebbe a innescare una crisi senza ritorno. Sull’argomento ieri è tornato il sottosegretario alla presidenza del consiglio Giancarlo Giorgetti, il Gianni Letta di questo governo. Anche lui ipotizza lo sforamento «se necessario per mettere in sicurezza il Paese e nell’interesse di tutta l’Europa». Negli ultimi vent’anni, spiega, «non si è fatta una spesa per investimenti seria, soprattutto sotto l’aspetto del capitale infrastrutturale. Ci sono le scuole e gli edifici pubblici a rischio, non solo i ponti».

L’argomentazione non convince il Mef. Via XX settembre ricorda, in via informale, che i fondi per il risanamento ci sono già, diverse decine di miliardi da ripartire in 10 anni stanziati dal governo Gentiloni e già fuori bilancio. Solo che non vengono spesi per via dei lacci e lacciuoli burocratici, dalle norme sugli appalti al patto di stabilità interno, dagli ostacoli burocratici alla necessità di trattare con le comunità locali. Violare il parametro senza nemmeno essere riusciti a spendere i soldi che già ci sono sarebbe assurdo.

NATURALMENTE GIORGETTI questo lo sa benissimo. E’ probabile che stia solo replicando la strategia già messa in opera negli anni scorsi dai governi di centrosinistra: chiedere e ottenere flessibilità sbandierando interventi d’emergenza, all’epoca l’immigrazione, la minaccia del terrorismo e la ricostruzione post sisma, salvo poi devolvere quei fondi a tutt’altro scopo. In questo caso lo scopo sarebbero quelle riforme che il governo vuole assolutamente avviare, senza poterne però garantire la copertura se non ricorrendo al deficit: il reddito di cittadinanza, la Flat Tax, l’intervento sulla legge Fornero.
Tria però non è disposto a concedere molto. Non solo non vuole che il debito aumenti: è deciso ad abbassarlo. Per lui, come per Moscovici, l’1,3% è il tetto. In realtà al Mef sono convinti che la trattativa con Giorgetti e con la Lega non sarà proibitiva. La stessa mossa del sottosegretario, che ha sì parlato di possibile sforamento ma citando solo la messa in sicurezza del territorio senza insistere sulle riforme economiche, sembra più un ponte che una sfida.

LE COSE STANNO diversamente con il pentastellato Di Maio. M5S e il suo leader al governo hanno bisogno di risultati tali da poter controbilanciare la campagna anti migranti di Matteo Salvini in termini di consenso. Per questo devono forzare le resistenze di Tria. Non fino al punto di infrangere il parametro: quella in realtà è solo una minaccia che tutti sanno irrealizzabile. Ma al punto di allargarsi ben più di quanto il ministro dell’Economia vorrebbe certamente sì.

Il braccio di ferro si riflette sul rischio principale, quello di un attacco speculativo. Per fermare la corsa dello spread sarebbe utile dire parole chiare e anticipare, come ha chiesto ieri il forzista Renato Brunetta, la nota di aggiustamento. Ma questa mossa il governo non è in grado di farla perché la trattativa è appena all’inizio. Deve rischiare, nelle prossime settimane, una tempesta sui mercati che cambierebbe tutte le carte in tavola.