Il governo italiano sarebbe intenzionato ad aumentare all’1,4% il target del rapporto deficit/Pil per il 2019 dall’attuale obiettivo dello 0,8% tendenziale indicato dal governo uscente nel Documento di economia e finanza di fine aprile. L’indiscrezione è stata raccolta dalla Reuters. Il ministero delle finanze ha fatto sapere che è «assolutamente prematuro» indicare ora l’obiettivo programmatico che verrà inserito nella Nota di Aggiornamento del Def a settembre» e che queste indiscrezioni «non trovano riscontro al ministero».

Il ministro dell’Economia Giovanni Tria nel corso dell’audizione nelle commissioni bilancio di Camera e Senato ha sostenuto che un rapporto deficit/pil allo 0,8% nel 2019 sarebbe un aggiustamento troppo drastico e deleterio per la crescita. nel 2019 in linea con quanto già previsto in precedenza, Da qui è partita la supposizione dell’aumento all’1,4%.

È intervenuto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il leghista Giancarlo Giorgetti che ha riconosciuto un elemento decisivo: «Sappiamo anche che per un paese indebitato come il nostro dovremo muoverci in un sentiero stretto». In pratica quello che ha detto Tria e, prima di lui, Padoan. La citazione è letterale. Questa ammissione non esclude, per Giorgetti, un cambio di passo, e quindi un pressing da più parti promesso (Di Maio, Salvini) nell’ultima settimana sull’ottenimento della «flessibilità» di bilancio da parte della Commissione Ue. Giorgetti ha confermato che le «previsioni sul rialzo del deficit sono premature al momento: di certo abbiamo dei programmi di governo molto ambiziosi da realizzare e molto dipende dall’ atteggiamento che avrà l’Europa». In altre parole, se permetterà di modificare, in maniera anche sostanziale, le previsioni già fissate. Prospettiva già delineata da Tria: «Ci adopereremo – ha detto – per avere dall’Europa e da questo Parlamento spazi di manovra per realizzare le misure del programma».

Secondo le indiscrezioni raccolte da due fonti diverse dalla Reuters, le risorse in ballo sarebbero pari a circa 11 miliardi e serviranno a disinnescare gli aumenti Iva, per i quali occorrono 12,5 miliardi. Questa scelta potrebbe essere presentata alla Commissione Ue come «incremento una tantum che non impatta sul saldo strutturale». Se invece Bruxelles non considererà il mancato aumento dell’Iva il saldo strutturale salirà di 0,6 punti percentuali rispetto all’ultima nota di aggiornamento del Def. In pratica la richiesta di «flessibilità» sarebbe pari a 11 miliardi. Anche questa prospettiva sembra verosimile dato che Tria nel suo intervento alla Camera ha parlato di tagli per circa 10 miliardi nel 2019 in base al profilo tendenziale del Def.

L’incognita che peserà sul sentiero stretto che il governo pentaleghista si appresta a percorrere è il calo del Pil rispetto alle previsioni del Def. Rispetto all’1,4 previsto dal governo Gentiloni pochi mesi fa, molte agenzie confermano prospettive più basse per il 2019: Prometeia e Standard & Poor’s hanno tagliato la loro stima all’1,2%, Ref all’1,1%. Ben al di sotto dunque delle stime, come accade per tutte le proiezioni che si fanno nel Def. Ciò avrà un impatto negativo sui conti pubblici di fine anno. Di questa decrescita è consapevole anche il Ministero dell’economia. La causa è dovuta «all’andamento delle esportazioni e della produzione, come effetto anche dell’imposizione dei dazi Usa. Mentre non è in discussione un allentamento dell’attenzione da parte del governo sul consolidamento dei conti che proseguirà». Nessuna intenzione di uscire dal sentiero stretto già indicato. E sullo sfondo l’esigenza di trovare la quadratura del cerchio per il «reddito di cittadinanza e la Flat Tax. «Devono andare di pari passo», è l’equazione promessa da Tria tra continuità nel rigore e nuova spesa.