La verità si scoprirà solo il 27 settembre, quando vedrà la luce la Nota di aggiornamento al Def, e forse neppure in quella data, perché circola l’idea di accettare una manovra con i cordoni della borsa stretti salvo poi riallargarli in Parlamento. Proprio per questo il presidente della Bce Draghi, nel suo fustigante intervento di giovedì, esortava ad aspettare il documento prima e il voto delle Camere poi.

Per ora, a due settimane dal momento di scoprire le carte, i governanti sembrano muoversi su realtà parallele. Tria procede lungo la rotta indicata dagli impegni che ha preso con l’Europa e che, a ogni buon conto, non passa giorno senza che qualcuno, da Bruxelles o da Francoforte, gli ricordi. Il rispetto di quegli impegni, in concreto una diminuzione sia pur minima del deficit strutturale, significa considerare l’1,6% del deficit il massimo realizzabile. Con questa stella polare, il ministro dell’Economia va avanti come se avesse dietro, compatta e convinta, l’intera maggioranza.

Sul binario parallelo, ma in direzione opposta, viaggia la maggioranza. Per Di Maio portare a casa una corposa prima tranche del reddito di cittadinanza sembra questione di vita o di morte. Un po’ è così davvero, considerando quanti pochi risultati abbia portato a casa M5S in questi mesi, non solo in termini reali, fronte sul quale neppure il Carroccio brilla, ma nemmeno sul piano della propaganda. La tabella di marcia può essere scandita in modo da partire subito con la riforma dei centri d’impiego per poi iniziare a erogare qualcosa in maggio, ma servono una decina di miliardi.

LA LEGA È MENO PRESSANTE ma non può accettare un budget minore di quello dei soci. Per Salvini è particolarmente importante la revisione della Fornero e lo si può capire. Se c’è una frase che viene ripetuta più e più volte dall’opposizione in questi giorni è: «Se riescono a fare davvero quota 62 diventano invincibili».

Nel complesso la quadra costerebbe 16 mld: 8 a M5S, che dovrebbe sacrificare qualcosina, altrettanto al Carroccio. Poi però c’è il resto: i 12 mld e mezzo per l’Iva, le spese correnti. Si arriva a una trentina di miliardi, cifra ben lontana da quella a cui pensa Tria. Non aiuta affatto il balzo del debito pubblico che a luglio ha preso di nuovo la rincorsa segnando il record di 2.342 miliardi.

NON È SOLO QUESTIONE di tetti e parametri. Per la Bce proprio la revisione della Fornero è considerata particolarmente inaccettabile: segnerebbe un passo indietro rispetto a quelle riforme che Draghi vuole invece che siano accelerate.

Ma il punto davvero critico non è neppure il bilancio: è la valenza politica che la vicenda italiana ha assunto, con la finanziaria come linea del fronte, in vista delle elezioni europee. I toni estremi usati da Moscovici per un contenzioso in realtà limitato sembrano fatti apposta per non lasciare via d’uscita a Roma senza perdere la faccia. L’Italia è temuta più come «fonte di contagio» che per i suoi conti in rosso.

Che il momento sia davvero rischioso lo rivela anche l’intervento accorato del capo dello stato. Un discorso, quello di Mattarella da Riga, molto diverso dall’abituale retorica sui vantaggi economici dello stare in Europa. I benefici dell’Unione, invece, «non sono quasi mai interamente monetizzabili«. Quindi «mettersi a mercanteggiare sui rapporti contabili», slittare «sul piano del dare e dell’avere» è massimamente rischioso perché porta a un clima che «non è solo concorrenziale ma di contrapposizione, che poi diventa contrasto, poi ostilità, poi non si sa cosa». Il monito è diretto ai governanti italiani ma non solo a loro. È l’invito a spostare in extremis la logica del confronto europeo su un piano diverso, prima che sia tardi.

[do action=”quote” autore=”Sergio Mattarella”]«Ho un’innata diffidenza verso tutti i nazionalismi. Non è con i calcoli contabili che si definisce il vantaggio che l’Unione assicura a tutti noi»[/do]

UN INVITO SIMILE, sia pure portato dal piano dei valori a quello delle riforme della Ue, arriva dal «presunto antieuropeista» ministro Savona. Dalla festa di LeU a Torino ammonisce anche lui: «Se continuiamo a parlare di immigrazione portiamo l’Europa sulla soglia della rottura. Per attenuare le polemiche l’unico modo è prendere in mano le discussioni di fondo, cioè la politica fiscale in Europa».
Ma con le elezioni vicine non è facile che gli inviti di Mattarella o di Savona trovino ascolto. Se i due binari paralleli sui quali corrono in direzioni opposte i treni della maggioranza italiana e quello di Bruxelles e di Tria diventeranno nelle prossime settimane lo stesso binario, il cozzo sarà inevitabile.