Immancabile e annunciatissima la richiesta di fiducia arriva alle 18.30, dopo una giornata segnata a Montecitorio da tensioni, urla, fascicoli scagliati, risse sfiorate. Prevedibile anche questo, del resto, a fronte di un iter della legge di bilancio che alla Camera, per la terza lettura, non è meno ricco di forzature di quanto non sia stato al Senato. Il tempo per discutere la manovra è ridotto all’osso. Di emendare proprio non se ne parla. Il presidente Fico ammette la forzatura però «la manovra non può essere approvata il primo gennaio». Qualche giustificazione per un comportamento che ha sottratto al Parlamento tutte le sue prerogative il governo ce l’ha. La procedura d’infrazione scatterebbe alle 24 del 31 dicembre e per quell’ora la legge deve essere già firmata dal capo dello Stato. In caso contrario non succederebbero sfracelli nel concreto: il fattaccio si è verificato ben 33 volte nella prima Repubblica senza che la terra tremasse. Ma dal punto di vista politico e sui mercati il danno sarebbe grosso. Si può capire che il governo voglia evitare a ogni costo.

LA TENSIONE in aula esplode quando Pd e Fi chiedono al presidente Fico di mettere ai voti la sospensione della seduta. I banchi dei 5S sono mezzi vuoti. Il rischio è serio. Fico preferisce coprirsi con una bella conferenza dei capigruppo che le opposizioni disertano. Alla ripresa lo scontro è inevitabile. Fiano scaglia il voluminoso quanto inutile fascicolo degli emendamenti verso il banco della presidenza e coglie dritto il viceministro Garavaglia. Il collega Borghi lo imita, corre verso la presidenza con il suo mazzo di emendamenti in mano. Fico gli intima di fermarsi e lo minaccia: «Lei non vede la fine della seduta». Parole incaute che riaprono la diatriba: come si permette?

CONTINUA COSÌ per tutto il giorno. Il leghista Molteni e il Pd Marattin, che di solito hanno ottimi rapporti, partono dagli insulti e quasi arrivano alle mani, poi si riappacificano in extremis. Fico scampanella: «Evitiamo di dare questo spettacolo». Parole al vento. Mentre la corrida impazza, Renzi pubblica sulla sua pagina Fb il parere dell’ordine dei commercialisti sulla manovra: attesta che ci sarebbero una dozzina e passa di miliardi di tasse in più. Alla fine l’aula vota il ritorno del testo in commissione ma ormai i banchi della maggioranza si sono riempiti e la proposta viene respinta a larghissima maggioranza. Un attimo dopo arriva la richiesta di fiducia.

L’ESITO DEL VOTO di stasera è scontato. Le proteste, che ci saranno, sono da copione, pur se giustificate. Solo che l’approvazione del testo non metterà affatto la parola fine alla vicenda.

Nei primi giorni di gennaio, il governo vorrebbe presentare il decreto con quota 100 e reddito di cittadinanza. Se ne parla da mesi, ma cosa ci sarà scritto davvero, soprattutto tra le pieghe e nei particolari, resta un mistero. Poi bisognerà rimettere mano alla norma sulle Ncc stralciata, anche se sarebbe proibito farlo, al Senato. Infine Di Maio si è impegnato a eliminare gli aumenti dell’Ires per gli enti no profit. Insomma, la manovra, in buona parte, è ancora da scrivere.

SEMPRE IN GENNAIO si capirà se il ricorso del Pd presso la Corte costituzionale sarà solo colore o rappresenterà davvero una minaccia per la maggioranza. Il 9 gennaio la Consulta deciderà sull’ammissibilità del ricorso per conflitto di attribuzione sollevato dal capo dei senatori del Pd Marcucci e da altri 35 colleghi del medesimo gruppo in merito al rocambolesco percorso della legge di bilancio a palazzo Madama. La vicepresidente Maria Cartabia sarà relatrice e la camera di consiglio deciderà se mandare avanti la pratica o cestinarla perché inammissibile. In questo caso non si tratterebbe certo di una sentenza a favore del ricorso del Pd ma una ennesima mannaia sarebbe da quel momento sospesa sulla manovra della discordia, oltre al parere definitivo dell’Unione, che in realtà arriverà solo il 22 gennaio nella riunione Ecofin anche se l’esito è scontato, e soprattutto oltre alle verifiche che quasi certamente porteranno alla richiesta di una manovra correttiva tra maggio e luglio dell’anno prossimo.

NEL MERITO, il percorso della manovra è quindi tutto da verificarsi ma nel metodo il danno che è stato recato alle istituzioni e al Parlamento è invece certificato. I capigruppo di LeU Fornaro e De Petris hanno chiesto un incontro a Mattarella proprio per segnalare la gravità dello sfregio alla democrazia parlamentare. Del quale peraltro il presidente è del tutto consapevole.