L’accerchiamento che il ministro Giovanni Tria teme non è una faccenda solo europea. Il governo e la sua legge di bilancio sono altrettanto isolati in patria e mai lo si era visto chiaramente come ieri. Complice la giornata mondiale del risparmio una quantità di bordate è piovuta sul governo. La voce più autorevole è quella del capo dello Stato.

COME SEMPRE LACONICO, Sergio Mattarella ha affidato il suo messaggio a poche e diplomatiche parole: «I risparmi delle famiglie rappresentano un elemento di forza che va accuratamente tutelato. Unito all’equilibrio dei conti pubblici, espressamente richiamato dalla Costituzione, è condizione essenziale dell’esercizio dell’effettiva sovranità del Paese». E’ un affondo calibrato. Senza nominare l’Europa, il presidente della repubblica cita espressamente quella norma costituzionale di fatto imposta dalla Ue e così facendo mette sul banco degli accusati lo sforamento deciso dal governo. Con il richiamo alla tutela dei risparmiatori chiude una strada che nessuno nel governo ha mai detto di voler aprire ma che pure è inevitabilmente in ballo: quella di ricorrere alla ricchezza privata in caso di situazione disastrosa.

Toni più duri ed espliciti nella requisitoria del governatore di Bankitalia Ignazio Visco. Nel mirino ci sono prima di tutto i conti e le previsioni su cui si basa la manovra. Visco prevede che per quest’anno il Pil si fermerà all’1% per poi calare l’anno prossimo. Come dire che l’1,5% vagheggiato dal governo è un puro miraggio. Poi il capitolo spread, che ieri è calato ma rimanendo sopra i 300 punti: «Può avere conseguenze gravi» e «deprimere il valore dei risparmi delle famiglie», sia direttamente che per via delle difficoltà delle banche. Uno spiraglio d’ottimismo sul debito pubblico che «è sostenibile», a patto però che sia «chiara la determinazione a mantenerlo tale, ponendo il rapporto tra debito e prodotto su un sentiero credibile di riduzione duratura». Infine una raccomandazione, identica a quelle piovute a valanga sul governo in questi giorni: «Vanno dissipate le incertezze sulla partecipazione convinta dell’Italia all’Unione europea».

MAZZATE SIMILI arrivano dai presidenti dell’Acri Giovanni Guzzetti e dell’Abi Antonio Patuelli, con tanto di semaforo rosso sulla possibilità di ricorrere alla Cassa depositi e prestiti e di ferrea opposizione ad aggravi fiscali per le banche.

Nel giro di poche ore,Tria può toccare con mano quanto stretto sia l’assedio intorno al governo. Replica difendendo la manovra. Ripete che lo sforamento era la sola scelta responsabile per evitare la recessione: «Il costo del non deficit non ce lo possiamo permettere». Sottolinea che non c’è alcuna volontà di uscita dall’Europa, ma sa che a Bruxelles questo non basterà. Più che con le argomentazioni squadernate ieri spera di ammorbidire la rigidità della commissione europea dimostrando che nelle misure fragorosamente annunciate, il reddito di cittadinanza e soprattutto quota 100 per le pensioni, saranno inseriti tanti lacci e lacciuoli da limitare di parecchio la platea e quindi la spesa. Potrebbe farcela se in ballo ci fossero davvero solo i conti. Ma Bruxelles vuole una vittoria politica e simbolica, chiede la revisione del deficit e quella è una moneta che il governo non può pagare perché azzererebbe ogni resa propagandistica della manovra.

A RENDERSI LA VITA anche più difficile la maggioranza provvede da sola, mettendo in scena divisioni e sbandamenti che sono l’esatto opposto dell’immagine compatta che dovrebbe restituire per affrontare una simile sfida con qualche speranza di uscirne vincente. La sensazione che si diffonde sempre di più è invece quella di una crescente isteria, che si riflette anche nell’offensiva scatenata dai 5 Stelle contro il capo di gabinetto di Tria, Roberto Garofoli. Ieri Il Fatto lo ha accusato di aver inserito surrettiziamente nella decreto fiscale la norma a favore della Croce Rossa (poi cassata dal premier Conte) in cambio dell’acquisto a prezzo di favore di un immobile a Molfetta e per tutto il giorno si sono moltiplicate le voci di imminenti dimissioni. Al ministero l’affondo del M5S è stato visto come un attacco politico in piena regola e la tensione è arrivata di nuovo oltre i limiti di guardia. Momento peggiore per entrare in rotta di collisione anche col Mef i 5S difficilmente avrebbero potuto scegliere.