Come un fiume carsico che scompare all’improvviso nelle viscere della terra e ritorna alla luce di quando in quando, un’inquietudine profonda continua a scorrere nelle vene della società civile armena. Da domenica il piccolo Paese caucasico è tornato a tremare. A meno da un anno dalla fine del movimento di Electric Yerevan, e a pochi mesi dalle proteste contro la riforma costituzionale, a Yerevan ci sono di nuovo manifestazioni, centinaia di fermi e scontri con la polizia.

Ma questa volta la situazione è diversa, e ancora più drammatica. Perché le proteste si legano a una crisi degli ostaggi iniziata all’alba di domenica, quando una ventina di uomini armati hanno preso d’assalto una stazione di polizia a Erebuni, quartiere periferico della capitale Yerevan. Non una stazione qualsiasi, ma uno dei maggiori depositi di armi della città. E così gli insorti, fra cui si trovano diversi veterani della guerra in Nagorno-Karabakh, si trovano ad avere armi e munizioni in abbondanza.

Al momento dell’assalto sono stati presi in ostaggio otto poliziotti, uno dei quali è stato subito rilasciato per motivi di salute, e altri tre in seguito. Fra quelli ancora nelle mani degli assalitori, anche il vice capo della polizia armena, Vartan Yeghiazaryan, e il numero due della polizia di Yerevan, Valeri Osipyan, tenuto in ostaggio – secondo quanto riportato dai media locali– dopo essere sopraggiunto per cercare una mediazione con gli assalitori. Durante l’assalto è morto un poliziotto, Artur Vanoyan, e ci sono stati feriti da entrambe le parti.

Gli insorti hanno diffuso un video in cui chiedono l’immediato rilascio di Jirair Sefilyan, leader della loro organizzazione politica e eroe della guerra in Nagorno-Karabakh, che era stato arrestato a fine giugno per possesso e traffico di armi illegali. Un’accusa da molti ritenuta infondata, e basata su considerazioni politiche. Armeno libanese di nascita, Sefilyan si è distinto negli ultimi anni come uno strenuo oppositore del governo e di ogni possibile compromesso con l’Azerbaigian per il conflitto del Karabakh. In particolare, dopo l’escalation di aprile, dove sono morte oltre trecento persone (civili inclusi) in pochi giorni, ha avuto parole di fuoco contro il presidente Sarsgyan e la sua gestione del potere.

E un’altra richiesta degli insorti – barricati ieri per il terzo giorno nella stazione di polizia – riguarda proprio le dimissioni del presidente armeno e la formazione di un governo di transizione, prima di indire di nuove elezioni. Una richiesta ritenuta inaccettabile dalle autorità, che hanno schierato cecchini, blindati e forze speciali nei pressi della stazione di polizia assaltata. Se non che, come detto, la situazione si è complicata ulteriormente quando – dopo oltre 24 ore dall’accaduto – centinaia di persone sono scene in strada a Yerevan e a Gyumri.

A far infuriare molte persone sono stati gli arresti e le centinaia di fermi di polizia, in molti casi ritenuti ingiustificati. Molte le denunce di violenze da parte delle forze dell’ordine. Ed ecco allora che a partire da lunedì pomeriggio la protesta è esplosa, e non sono mancati negli slogan di incitamento agli insorti di Erebuni e al loro controverso leader, Sefilyan. Non tanto per la sua politica oltranzista, per il suo nazionalismo radicale e a tratti pseudo-fascista, ma il largo malcontento degli armeni nei confronti loro governo.

Le proteste sono proseguite anche ieri, insieme ai tentativi di mediazione delle forze dell’ordine con gli insorti. Assai difficile immaginare che la rivoluzione che sognano diventi realtà. Certo è che la società armena non ne può più di povertà, disoccupazione, e di un governo che fa della corruzione il suo tratto più essenziale.

Il dato più significativo di questi giorni è proprio quello della disperazione. La frustrazione diffusa fra la gente non trova più alcuno sbocco politico. La politica è lontana, e neanche i movimenti pacifici di protesta degli ultimi anni hanno portato frutti. E allora tutto è lecito e non resta che passare alla violenza. Non è un buon segno. Prima o poi il fiume armeno ora sepolto, carico di frustrazioni e ferite, tornerà alla luce. E finirà per travolgere tutto.