Germania indietro tutta. La contrazione delle Piccole e medie imprese, confermata anche per il mese settembre, inchioda l’economia tedesca sull’orlo della recessione. Uno scenario da incubo a Berlino ma anche una notizia catastrofica per l’intera Eurozona in procinto di essere investita dalla retromarcia della locomotiva economica.

All’orizzonte dei dati diffusi ieri dagli analisti di Ihs Markit si profila lo spettro del Pil negativo per il terzo trimestre consecutivo: sancirà l’entrata ufficiale della Germania nella recessione tecnica. È questa oggi la cifra del Paese che – esattamente vent’anni dopo – torna a essere «Il malato dell’Europa» (così l’Economist nel 1999) e la prima fonte di epidemia per i vicini partner commerciali.

Per la prima volta il virus del calo degli ordini nell’industria manifatturiera è arrivato a contagiare il settore dei servizi. E per la prima volta l’epicentro della crisi europea non è più la guerra dei dazi tra Usa e Cina o la prospettiva di Brexit senza accordo ma proprio la Germania.

«È uno dei Paesi più colpiti dal rallentamento» tiene a precisare da Francoforte il governatore della Bce, Mario Draghi, preoccupato per la tenuta dell’anello più debole della catena della moneta unica.

«L’Unione europea è vicina alla stagnazione» come risultato della recessione tedesca registrata, peraltro, già lo scorso semestre (-0,1% del Pil). Anche se la Bundesbank ieri ha minimizzato i dati di Ihs Markit con la singolarissima tesi che è la recessione tecnica «è molto probabile» ma «non di per sé preoccupante». Difficile da spiegare, soprattutto in Italia dove si prevede crescita zero anche per il terzo trimestre. Ancora più arduo nel “market” degli addetti ai lavori che guardano soltanto ai numeri sensibili.

A settembre l’indice di riferimento per la produzione dell’Eurozona è sceso da 51,9 a 50,4 punti toccando il livello minimo dal giugno 2013. Nel dettaglio, il manifatturiero è calato di 1,4 punti (contrariamente alle attese di miglioramento) mentre l’indice dei servizi è sceso da 53,5 a 52 punti smentendo le previsioni che puntavano a un calo di appena 0,2 punti.

Su tutto spiccano le due cifre di riferimento che inquietano Berlino, Francoforte al pari di Bruxelles e Roma: la soglia dei nuovi ordinativi e quella delle intenzioni di assunzioni delle imprese. Entrambe nel settore manifatturiero sono crollate sotto la quota di 50 punti che divide due realtà economiche diametralmente opposte: sopra è crescita, sotto è recessione.

Anche se il vero problema della Germania è l’abbinata con la clamorosa flessione nei servizi (il minimo da dicembre 2018) che ha fatto scivolare l’indice generale tedesco da 51,7 a 49,1. Non succedeva dall’autunno 2012, mentre l’ultimo sforamento di “quota 50” risale a ben sette anni fa.

Altri tempi, prima del «boom» del «made in Germany» che ora si sta sgonfiando a spese dell’economia di tutta l’Europa. La Repubblica federale soffre più di tutti gli altri Stati Ue l’incertezza globale, al punto che gli analisti di Hsbc squadernano gli scenari d’emergenza. «Con l’Eurozona prossima alla stagnazione e la Germania in contrazione la Bce dovrà considerare bene la sua prossima mossa. Mentre auspica che uno stimolo fiscale venga in soccorso non può dare nulla per scontato». Collima con la tesi rilanciata ieri da Capital Economics secondo cui «anche se l’economia tedesca balbetta, resta improbabile un forte stimolo strutturale, considerando l’attuale quadro politico. Ci sono scarse ragioni per ritenere che il Pil si riprenderà da solo».