Successe a Lucca in occasione della sedicesima edizione del Salone dei Comics che ebbi la fortuna d’incontrare Lee Falk: un nome che, per i giovani di oggi, non dice nulla. Ma per chi ha vissuto in Italia l’introduzione di quei racconti disegnati e pubblicati nella stampa dedicata ai ragazzi, ha fatto un’esperienza che è stata unica, oltre che avvincente. Aspettavamo settimana per settimana l’uscita di quello straordinario giornalino, L’Avventuroso, edito da Mario Nerbini di Firenze, che per noi rappresentava l’oggetto più desiderato… Avevamo da poco imparato a leggere e a scrivere e consideravamo la lettura una conquista e un passatempo importante per la nostra emancipazione, quando in questo settimanale cominciarono a uscire storie a fumetti avvincenti e trascinanti per come si narrava l’avventura, assolutamente nuovi e inediti fino ad allora. Era più che altro l’impegno, quindi la fantasia, di un grande scrittore di soggetti pieni di straordinari intrecci e di continui colpi di scena che non facevano altro che imprimere movimento e azione a quelle figure di carta di protagonisti del racconto. Quest’uomo dalla mano eccellente, era Phil Davis. Più tardi si volle sapere chi fossero gli autori, qual era il posto di provenienza di quei fumetti. In questa immagine la sorveglianza delle autorità preposte dal fascismo non aiutava il lettore curioso. Il Min.Cul.Pop. (Ministero della Cultura Popolare), proprio all’inizio degli anni Trenta, sosteneva di apporre il commento della vignetta, a guisa della spiegazione della storia, collocando alla base una frase a rime baciate, così come si procedeva (in modo culturalmente più valido) nel Corriere dei Piccoli e nell’organo della GIL (Gioventù Italiana del Littorio), Il Balilla, un settimanale che veniva distribuito nelle scuole. Inoltre l’editore italiano doveva cancellare il copyright, che segnalava la data di pubblicazione del fumetto. Ora, si deve affermare che se quelle storie con balloon riuscivano a riscuotere il plauso del lettore, vuol dire che quell’intreccio, oltre a un significato appariscente, nascondeva problemi occulti e significati più profondi che possono o non possono emergere da un esame approfondito e scientificamente valido. In definitiva si affaccia quella possibilità che contempla il fenomeno tipico dell’arte figurativa, cioè quello della doppia ambiguità. Non è un caso che la trama di questi fumetti attinga da una realtà che più o meno si renderà concreta in qualche modo nel prosieguo del tempo come una sorta di intuizione ante litteram, tuttavia con riferimenti alla realtà del presente. Ed è proprio nel personaggio di Mandrake (su cui, fra l’altro, Federico Fellini aveva pensato ad un film che doveva essere interpretato da Marcello Mastroianni, purtroppo mai realizzato), che possono intravedersi riflessi sulla realtà del mondo di oggi. Lee Falk deve molto a Phil Davis se questo fumetto è riuscito a imporsi fra i più avvincenti di tutti i tempi. Al bravo disegnatore che usa i vari piani attuati nel cinema, tanto da rendere il fumetto parente stretto dell’universo immaginifico riflesso sullo schermo, tale operazione si presenta simile a uno story-board. Ebbene, sarà proprio nella prima storia di Mandrake (pubblicata esattamente ottant’anni fa) quando entrerà in scena il personaggio «Il Cobra», che, come segno di malvagità, è in lotta contro il bene di cui Mandrake (insieme al suo servo negro Lothar) è uno strenuo sostenitore. Il Cobra viene dunque presentato come un soggetto cattivo, perfido e cinico senza possibilità di redenzione. Anche lui esercita le arti magiche rimanendo sempre nascosto nel suo rifugio segreto in una località misteriosa del deserto orientale. Veste sempre un costume tipico dei paesi asiatici, con una lunga tonaca e un cappuccio che lo colloca sul genere degli abbigliamenti così come abbiamo visto Bin Laden riprodotto sui giornali e alla Tv. Così, attraverso gli invadenti messaggi iconografici dei mass-media, possiamo riconoscere, data anche la folta barba, la figura del criminale delle Torri Gemelle di New-York. Così è il Cobra-Bin Laden come ci è dato vederlo dall’impeccabile penna di Phil Davis, ottant’anni dopo la sua prima apparizione.