La forma antropomorfa della radice di Mandragora ha suscitato da sempre fantasie, credenze e superstizioni, tanto che quest’erba era considerata l’ipnotico magico per antonomasia. Di conseguenza, l’etimologia del nome Mandragora, derivando probabilmente dal persiano mardum-giâ «l’erba dell’uomo», in relazione all’aspetto più conosciuto della radice, rispecchia a pieno tutte le convinzioni e leggende legate a questa pianta.
Presso le culture del bacino del Mediterraneo, la mandragora possiede una lunga tradizione come pianta magica, afrodisiaca, allucinogena e medicinale. Reperti archeologici egiziani del XIV secolo a.C. (durante la V Dinastia) testimoniano già la conoscenza delle proprietà di questa pianta. Nel Papiro di Ebers viene citata per diversi impieghi: assieme al fiore di loto e al papavero da oppio – anch’esse piante dotate di proprietà psicoattive – era impiegata per fare unguenti capaci di indurre stati ipnotici, estatici e di trance.
Nelle culture greco-latine le testimonianze di Teofrasto raccontano la valenza afrodisiaca della Mandragora, come Mandragorìtis uno degli attributi di Afrodite, dea dell’amore e della sessualità per eccellenza. Gli scritti di Plinio e Dioscoride riportano la proprietà anestetica e nel contempo allucinogena della pianta: mezzo bicchiere del succo del frutto o della radice polverizzata disciolta o semplicemente la stimolazione olfattiva da parte della pianta era un perfetto anestetico chirurgico, prima di amputazioni, mutilazioni o cauterizzazioni.
La pianta, per il suo sviluppo sotterraneo e per le sue proprietà era consacrata ad Ecate, dea degli incantesimi e degli spettri, capace di viaggiare liberamente tra il mondo degli uomini, quello degli dei e il regno dei Morti. Il timore nei confronti della dea era tale da richiedere un vero e proprio rituale di estrazione che doveva essere in svolto di notte, in sintonia con il simbolismo della pianta infera, e in presenza di un accompagnatore.
L’estrazione veniva effettuata mediante un cane, in quanto nell’atto dell’estirpazione la pianta avrebbe lanciato un grido di dolore talmente lancinante da uccidere chiunque lo avesse udito. In tal modo il cane, animale consacrato a Ecate, veniva sacrificato in onore della dea stessa. Quindi il raccoglitore, posizionandosi rispetto al vento in modo da non essere investito dall’odore venefico, disegnava con una spada di ferro tre cerchi concentrici intorno alla pianta, i quali dovevano trattenere gli influssi della mandragora al suo interno, così da non disperdersi e recare danno al raccoglitore. Con la stessa spada scavava intorno alla pianta, scoprendone una minima parte, e vi legava il cane che, per scappare, l’avrebbe estirpata. Quando il cane iniziava a sradicare la pianta, il raccoglitore, ceratosi le orecchie per non udire le urla, si teneva rivolto ad occidente, simbolicamente luogo degli spiriti inferi, affinché questi fossero propizi nella difficile operazione mentre il secondo l’accompagnatore, ballando intorno alla pianta, cantava strofette erotiche.
Nel Medioevo, la Mandragora era una delle piante più rinomate della stregoneria. Fu spesso protagonista in questo periodo nei processi contro le streghe: chi veniva trovato in possesso di radici di Mandragora era condannato in quanto la pianta era considerata uno degli ingredienti principali dei sabba.
Allo stesso tempo era considerata un potente amuleto capace di rendere invulnerabile chi lo portava con sé in battaglia: famoso è il caso di Giovanna d’Arco, accusata di eresia, in cui tra le diverse imputazioni si indicava quella di aver tenuto una radice di mandragora sul seno al fine di essere protetta in combattimento.
Sempre nel Medioevo la mandragora era utilizzata anche come anestetico. L’idea tramandata da Plinio che la pianta agisse come anestetico semplicemente con l’effluvio che emanava suggerì di utilizzarla in una spugna, imbibita del suo succo e poi messa a essiccare. Al momento dell’uso si bagnava la spugna con acqua tiepida per poi applicarla sotto le narici del malato. Con il tempo la spugna fu perfezionata, tanto che fu creata la così detta Spongia somnifera costituita da una normale spugna marina (spugna naturale) e dall’estratto fresco di alcune piante medicinali, tra cui la morella (Solanum nigrum L.), il Giusquiamo nero (Hyoscyamus niger L.), la cicuta (Conium maculatum L.), lo stramonio (Datura stramonium L.), la lattuga velenosa (Lactuca virosa L.) e la mandragora (Mandragora officinarum L.), insieme ad alcune gocce di oppio (Papaver sumniferum L.).
Con il Rinascimento le virtù della mandragola cominciano ad essere confutate e nella famosa commedia del Machiavelli La Mandragola, non è l’erba a curare la presunta sterilità della protagonista Lucrezia, ma piuttosto l’atto sessuale col suo giovane amante Callimaco che, con astuzia e l’aiuto delle credenze che si celavano dietro la pianta, riuscì a conquistare il suo amore illudendo il marito messer Nicia Calducci.
Con il tempo ed i successivi studi, sono state dimostrate le proprietà sedative della mandragora e soprattutto i poteri allucinogeni, che portano a forme di trance simili alla morte.
Nel complesso la pianta è estremamente tossica, contenendo un complesso alcaloideo ad azione simile a quella dell’atropina, della josciamina e della scopolamina, presente anche nella Belladonna (Atropa belladonna L. ) e Giusquiamo nero (Hyoscyamus niger L.). Ma ogni veleno, come è risaputo, può essere utilizzato anche come farmaco: se da un lato presa in dosi massicce può provocare tachicardia, pressione alta, nausea, allucinazioni, vomito, diarrea, convulsioni e anche la morte; dall’altro in piccole quantità viene usata nella cura degli spasmi intestinali, come rimedio sedativo nei casi di asma e tosse e moderatamente dosata è ancora utilizzata come preanestetico.
Anche se gli studi scientifici non hanno mai evidenziato particolari proprietà afrodisiache per questa pianta, si ritiene, tuttavia, che probabilmente alcuni degli alcaloidi presenti, come L-giusquiamina e la NOR-giusquiamina, agiscano stimolando i centri del cervello con un blando potere eccitante, provocando un aumento delle pulsazioni cardiache con conseguente elevarsi della pressione arteriosa. La generale eccitazione psicomotoria che ne deriva determina comportamenti disinibiti, che devono aver ispirato la credenza sulle virtù afrodisiache di questa pianta.
Nonostante le evidenze scientifiche, il perdurare delle credenze popolari è tale che ancora fino a qualche decennio fa nelle campagne francesi si riscontrava l’usanza di offrire agli sposi il cosiddetto «vino nuziale», che conteneva un pizzico di polvere di radice di mandragora utile per stimolarne la vita sessuale e la fecondità. La stessa usanza è diffusa anche in Nord Africa dove si tramandano diverse ricette e rituali magico-sessuali in cui compare la Mandragora, da utilizzare prima del coito al fine di far concepire le donne sterili
Infine, si può dire che la mandragora, ancora oggi, rimane comunque una pianta intrigante e affascinante, per il mito scaturito dalla forma e per i suoi poteri, presunti o reali, inquietanti e opposti. Sono numerosi coloro che la cercano e sono disposti a pagare per averla come talismano.