Dopo una degenza di circa tre mesi, domenica l’ex Presidente sudafricano e Premio Nobel per la pace Nelson Mandela è stato dimesso dal Medic-Clinic Heart Hospital di Pretoria. La notizia, confermata con una nota sul sito web ufficiale della Presidenza sudafricana, arriva un giorno dopo la smentita del 31 agosto quando alcune testate internazionali tra cui la Bbc, citando fonti vicine all’ anziano leader, avevano riportato di un suo trasferimento a casa già nella giornata di sabato.

Fa poca differenza in teoria sapere se il rilascio dalla clinica sia avvenuto sabato oppure domenica, quanto invece il fatto che non si tratti tanto di dimissioni per avvenuta guarigione quanto di un vero e proprio trasferimento di degenza dall’unità di terapia intensiva dell’ospedale di Pretoria a quello della casa di Houghton, il ricco quartiere di Johannesburg. L’equipe di specialisti – del mondo universitario, militare e privato – che ha seguito Madiba a partire dall’ otto giugno scorso, ha infatti dato il consenso a che l’ex Presidente continuasse a ricevere tutte le cure mediche indispensabili nella propria casa adibita nel frattempo a reparto ospedaliero e non più in clinica. Qui potrà naturalmente essere riammesso in qualunque momento qualora la situazione dovesse precipitare. Decisione presa non a cuor leggero, ma supportata da lievi miglioramenti che hanno messo Mandela in condizioni di affrontare un viaggio in ambulanza di circa 55 km da Pretoria a Johannesburg.

«Le condizioni di Madiba restano critiche e a volte sono instabili. Tuttavia, i medici sono convinti che riceverà lo stesso livello di cure intensive che ha ricevuto a Pretoria nella sua casa di Houghton», recita la nota del portavoce del Presidente sudafricano Jacob Zuma.

Ricoverato d’ urgenza in piena notte per complicazioni seguite a un riacutizzarsi dell’ infezione ai polmoni, Nelson Mandela ha trascorso in ospedale circa 87 giorni facendo più volte temere che si trattasse della sua battaglia finale, quella che non può essere vinta nemmeno da un combattente della tempra di Madiba.

I grandi del mondo, i politici che contano, si sono più volte stretti al suo capezzale in questi tre mesi inviando messaggi e sostegno a distanza, mostrando gratitudine ed eterno apprezzamento per l’uomo considerato l’icona vivente della riconciliazione tra bianchi e neri in un Sudafrica ancora dilaniato da profonde divisioni culturali e d economiche. Tra l’incredulità e lo scetticismo della gente comune e di quella medagliata, Nelson Mandela mentre era in ospedale ha compiuto 95 anni lo scorso 18 luglio venerato e onorato dai capi di stato di tutto il mondo nella giornata a lui dedicata dalle Nazioni unite, il Nelson Mandela Day.

In questo lungo periodo, a cadenzare l’angoscia di molti Sudafricani restii a «lasciarlo andare» – come vuole la tradizione – e l’attesa sullo scacchiere internazionale per il post-mortem dell’ anziano leader che di fatto tiene e condiziona ancora molti equilibri interni della Nazione Arcobaleno, sono stati i bollettini litanici del «critico ma stabile» emessi dalla Presidenza sudafricana. Nonché la faida interna alla famiglia Mandela amplificata da conferme e smentite di una insufficienza respiratoria grave e di uno stato vegetativo che lo terrebbe attaccato alle macchine. Fino ai bollettini medici di poche settimane fa che, rompendo un lungo silenzio, informavano di condizioni critiche a volte instabili ma anche di una grande capacità di recupero.

In migliaia da tutta l’ Africa hanno raggiunto l’ospedale di Pretoria dove il primo Presidente nero sudafricano era ricoverato per rendergli omaggio con canti, preghiere e danze lasciando fiori e biglietti d’auguri e d’affetto. Quasi una veglia continua per esorcizzare una sua ultima dipartita o forse un inconscio accompagnamento collettivo verso l’addio finale. Certo è che il suo ricovero in ospedale più volte in sei mesi ( questo rappresenta il più lungo), ha portato la Rainbow Nation a fare i conti con la mortalità del suo padre fondatore. Quando e come avverrà, probabilmente la sua morte non sarà più così inattesa come altre volte in passato.

La mortalità di Madiba è ora più famigliare e accettata di quanto non lo fosse mesi fa. E le strategie politiche e ahimè anche famigliari per l’accaparramento di un’eredità non solo morale ma anche più concretamente politico-economica e finanziaria sono apparse più chiaramente rivelate e chiare a tutti.

Le generazioni figlie del regime dell’ apartheid che hanno subito soprusi sociali ed economici i cui effetti sono tuttora visibili e duri da estirpare da un lato, il vecchio establishment dell’ Anc e gli altri partiti che si vogliono democratici dall’altro, ciascuno a proprio modo e vantaggio da quell’eredità e da quella di Madiba sono tuttora fortemente condizionati.