Il new deal azzurro in due anni. La nazionale italiana che gioca domani sera in Bosnia (ore 20,45) e lunedì in Armenia senza l’assillo della qualificazione a Euro 2020 (all’Olimpico di Roma la partita inaugurale), centrata a ottobre, chiude il personale cerchio: dal tragico novembre del 2017, dalla doppia sfida fallita con la Svezia per un posto ai Mondiali russi alla qualificazione agevole, con tre turni di anticipo, per gli Europei della prossima estate da parte del gruppo formato da Roberto Mancini. Finora solo successi nell’anno solare, con momenti di bel gioco e un’identità precisa. E soprattutto il ruolo da testa di serie per il sorteggio per Euro 2020, che si terrà il 30 novembre.

UNA CONVERSIONE, un risultato dalle dimensioni inattese, assieme a un nuovo interesse, testimoniato anche dagli ascolti televisivi e dai pienoni di pubblico nelle partite casalinghe del girone di qualificazione. Certo, Mancini non si è trovato davanti avversario di calibro e la strada per arrampicarsi al livello della Francia, oppure della Spagna, assieme al Belgio le più competitive in Europa, è ancora in salita. Ma nel percorso verso Euro 2020 l’ex asso della Sampdoria, che pure veniva da esperienze non straordinarie, come il ritorno all’Inter, ha avuto il tempo e il merito di investire su un manipolo di ragazzi di grande talento, quell’infornata di qualità che mancava da quasi un decennio nel calcio italiano, che dai Mondiali tedeschi del 2006 ha centrato la finale degli Europei nel 2012 e poi poco più, sino alla debacle del mancato pass per i Mondiali 2018. Da Barella a Zaniolo, Moise Kean, Sensi, la valorizzazione di Chiesa, l’ultima rivelazione, il bresciano Tonali: forse manca ancora il fuoriclasse, specie nel reparto avanzato, che il selezionatore azzurro non può certo inventarsi. Ma il clima conta, così come la fiducia, la spinta ambientale, la rinnovata voglia di Italia tra i calciatori e gli appassionati: la Nazionale ora conta di più rispetto al recente passato, un messaggio chiaro spedito anche ai club.

E C’E’ DECISAMENTE Mancio al centro del villaggio, Mancio che mette fuori per qualche giro i ragazzini (Zaniolo e Kean) che hanno mostrato insofferenza alle regole con l’Under 21, oppure Mancio che spiega al presidente federale Gravina che Balotelli non è un trofeo o un messaggio da spedire ai razzisti (troppi) che affollano le curve: per l’attaccante del Brescia ci sarà una maglia solo per meriti, non per una crociata contro l’intolleranza, da giocarsi con durezza su altri tavoli. E un contributo al nuovo corso della Nazionale italiana è arrivato anche dalla federcalcio, che sta riportando a Coverciano pezzi dell’Italia amata dagli italiani, tipo Gianluca Vialli, il nuovo capodelegazione, l’alter ego di Mancini in campo ai tempi della Sampdoria, 80 partite in maglia azzurra tra Maggiore e Under 21, figura di raccordo tra staff tecnico e squadra, l’erede di Gigi Riva. Un’icona del calcio italiano che attraverso le sensazioni della casacca nazionale trova energie per combattere il male esibito pubblicamente che sta affrontando da un paio di anni.