Nelle grandi città come Roma o Napoli, le code ai drive-in per i tamponi in auto possono durare molte ore. Se le richieste aumenteranno ancora, sottoporsi al test e ricevere l’esito in tempi ragionevoli potrebbe diventare un miraggio. Francesco Vaia, direttore sanitario dello Spallanzani di Roma, ieri ha rivolto un appello ai medici di base affinché rallentino questa corsa al tampone, visto che la maggior parte delle prescrizioni passano dai loro studi. Ma non è loro la responsabilità dell’ingolfamento del sistema, spiega al manifesto Pierluigi Bartoletti, medico di base a Roma e vicesegretario della Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale). «Era tutto ampiamente prevedibile: l’attenzione sul mondo scolastico ha generato una valanga di richieste di test. Non c’è altra possibilità per autorizzare il ritorno a scuola di un bambino che ha avuto la febbre», dice Bartoletti. «Ora che è aumentata la circolazione nelle famiglie, si riempiono i drive-in e i laboratori di analisi».

Non sono le troppe prescrizioni il vero problema, ma il tampone molecolare che richiede tempo, macchinari e personale. «Attualmente solo il 3% dà esito positivo. Se ne potrebbero evitare tanti inutili con i test rapidi: in mezz’ora una famiglia è libera dal dubbio». E perché non si fanno? «Disponiamo dei test rapidi dal 16 agosto e oggi il Lazio ha pubblicato il bando per reclutare medici e pediatri disponibili a eseguirli». Se il medico aderirà – la scelta è volontaria – nella regione si potrà fare i test direttamente nello studio del medico di famiglia. E i test ci sono? «Dovremmo riceverli la settimana prossima. Il Lazio è la prima regione a muoversi in questa direzione». Il ritardo delle altre regioni è preoccupante. «Il ritorno del virus era previsto sin dall’estate ma molti sembrano non aver imparato nulla dal passato: questo è un virus che richiede di giocare di anticipo».

C’è chi ritiene che il problema sia più profondo e riguardi la riorganizzazione della medicina territoriale. «Il governo e le regioni hanno perso tempo», denuncia Franco Esposito, medico di famiglia a Catanzaro e segretario della Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti. Secondo il medico era necessario riorganizzare i medici di base non su base individuale, ma attraverso team di medici associati. «Attualmente i medici da soli non sono preparati per affrontare questa fase: le vaccinazioni anti-influenzali e gli screening rischiano di creare sovraffollamento negli studi medici e di compromettere le misure di sicurezza», spiega. «Mettendosi insieme nelle cosiddette “Unità complesse di cure primarie” (Uccp), i medici disporrebbero di personale infermieristico per effettuare triage, tamponi, screening. Persino nel disastro della sanità calabrese, nella provincia di Catanzaro queste aggregazioni esistono e funzionano».

Il governo avrebbe avuto il tempo di avviare questa organizzazione prevista già dalla legge Balduzzi del 2012. «Molte regioni non l’hanno mai applicata. I fondi del Mes oggi potrebbero essere usati proprio per questo».