Nelle ultime settimane la situazione in Nicaragua ha continuato a degenerare: il 13 luglio scorso gli studenti che da due mesi occupano l’Universitá Nazionale Autonoma sono stati attaccati dagli «squadroni della morte» di Ortega, come vengono chiamati dagli universitari; ci sono state vittime e tante sparizioni.

NON SI SONO RISPARMIATE neanche le aggressioni a vescovi e ai sacerdoti che vengono feriti e picchiati, mentre permettono agli studenti di rifugiarsi dentro le chiese.
Nella stessa giornata i paramilitari hanno sequestrato Medardo Mairena, leader del Movimento contadino, che è poi riapparso, ma di fronte a un tribunale e accusato di terrorismo. Gli stessi paramilitari e le forze di polizia sarebbero i responsabili di una carneficina nelle montagne di Chontales e avrebbero assassinato 25 contadini in protesta.

Il 16 luglio l’Assemblea nazionale controllata dal Fronte sandinista ha approvato d’urgenza una legge che accusa di terrorismo chi produce danni o lesioni a beni pubblici o persone alterando l’ordine costituzionale, con pene fino a 20 anni di prigione.

STESSI RIMEDI per chi fa arrivare dall’estero fondi o risorse che alimentino il golpe di stato promosso dalle cosiddette destre. Il 17 luglio circa 1.500 tra poliziotti e paramilitari sono arrivati nella cittadina indigena di Masaya che da tre mesi resiste alle offensive del governo chiudendone l’esperienza. Il 18 luglio, mentre a Managua i sandinisti celebravano la vigilia della rivoluzione, l’Organizzazione degli Stati americani (Oea) a Washington ha condannato il governo nicaraguense per abusi riguardo i diritti umani, invitando a riaprire il dialogo nazionale e le negoziazioni per elezioni anticipate: ormai stare dalla parte di Ortega (sostenuto fino al mese di aprile da Luis Almagro, segretario generale della Oea) non è più una via praticabile.

IL NICARAGUA SOMIGLIA sempre più ai paesi del «Triangolo Nord» (Salvador, Guatemala e Honduras) e la crisi sta incidendo sulle economie di tutti gli stati vicini.
Un suo collasso trascinerebbe il Centroamerica nella crisi con un effetto polveriera incontrollabile. Il 19 luglio è arrivata la giornata per le celebrazioni dei 39 anni dalla rivoluzione sandinista.

Negli anni scorsi migliaia di persone inondavano quartieri e strade per ricordare la liberazione dal dittatore Somoza: quest’anno hanno riempito a stento la piazza e il Presidente, nel suo discorso, ha accusato i vescovi di «terrorismo».

Si arriva al 23 e 24 luglio: Ortega ha rilasciato interviste (le prime in assoluto da undici anni a questa parte) a Fox News e Telesur, durante le quali ha ribadito che non cederà in alcun modo, che non ci saranno le elezioni anticipata, negando anche ci siano state violenze e sostenendo che nel paese domini la calma e che il «golpe» sia ormai stato sconfitto.

INVECE MANAGUA BRUCIA. Fino a tre mesi fa gli slogan turistici ripetevano «Vieni in Nicaragua, il paese più sicuro del Centro America!».

Ora all’aeroporto non arriva nessuno, ci sono anzi lunghe file di nicaraguensi che vanno via. La capitale (ma non solo) è stremata. Alle 18:00 inizia il coprifuoco e tutti si chiudono in casa. Sentir passare una moto significa sobbalzare perché potrebbe essere uno squadrista del Fronte sandinista. La Polizia durante il giorno pattuglia le strade incappucciata e al calar del sole inizia le retate nei quartieri. Si susseguono le sparatorie e al mattino si fa la conta dei morti e degli scomparsi.

NEGLI ULTIMI ANNI Ortega ha governato un paese relativamente tranquillo e sicuro ma con profonde fragilità: lo aiutavano i fondi che arrivavano dal governo venezuelano (durante l’ultimo mandato 3.700 milioni di dollari), il patto con il Consiglio superiore dell’impresa privata nicaraguense (Cosep) e il felice connubio con la Chiesa.

Anche gli Stati uniti, seppur con il dente avvelenato dai tempi della rivoluzione, si mantenevano al margine: si stava comportando bene Ortega, stava aprendo il paese alle multinazionali, bloccava i migranti alle proprie frontiere per rendergli impossibile arrivare in Messico e quindi negli Usa, seguiva come un diligente scolaro le indicazioni del Fondo Monetario Internazionale. Queste alleanze hanno garantito per undici anni la pace sociale.

DA DUE ANNI però il Nicaragua non riceve fondi dal Venezuela: Ortega non può più permettersi favori all’impresa privata, ed è anzi costretto ad aumentare le tasse. La politica economica degli Stati uniti in materia di esportazione è cambiata e Ortega ha le mani legate.

GLI IMPRENDITORI l’hanno abbandonato. E le grandi masse? E i programmi sociali? Innegabile il fatto che negli ultimi anni ci siano stati investimenti in questi settori ma i risultati sono scarsi: le scuole pubbliche sono gratuite ma offrono un’educazione pessima; anche il sistema sanitario nazionale è gratuito ma i medici non sono preparati e gli strumenti a disposizione sono quasi inesistenti.

Il sostegno a tutta quella fascia di popolazione che non rientra nel 4.9% di crescita del Pil per il quale il Fondo monetario internazionale elogia Ortega, si traduce in qualche lamina di zinco per costruire tetti, un maiale o 10 galline, un sacco di riso e fagioli.

Negli ultimi anni Ortega ha creato un sistema economico-sociale in cui i poveri (o meglio gli impoveriti) lavorano per un salario da fame, emigrano, o si muovono con lavori informali e in nero costituendo l’82% della popolazione con occupazione.

Il 18 aprile anche le basi popolari si sono sollevate mettendo allo scoperto le crepe di un populismo che non funziona più. L’opinione popolare è quella di un governo socialista di facciata che in realtà si è allineato al più becero neoliberalismo made in Usa.

L’UNIONE FA LA FORZA, ma non dura. L’alleanza tra studenti, imprese private (Cosep), popolazione in generale e Movimento contadino ha permesso una ribellione assolutamente insperata. Il governo dice che dietro c’è l’orchestrazione degli Stati uniti ma quello che è successo in Nicaragua ha radici e cause endogene.

Sarebbe ingenuo pensare che le forze conservatrici nazionali e internazionali non cercheranno di capitalizzare la crisi o che gli Stati uniti non si immischieranno ancora una volta in questioni che non li riguardano ma responsabilizzare le destre rischia di allontanare da un’autocritica necessaria: il fracasso attuale del Fronte sandinista è il risultato delle politiche di Ortega e sua moglie.

É UN DATO DI FATTO che Ortega negli anni abbia annullato al nascere qualsiasi organizzazione di sinistra alternativa al Fronte e la ribellione attuale potrebbe finire nelle mani sbagliate: i vari settori uniti strategicamente nell’oppozione, possono far cadere il regime ma insieme non costituiscono un’alternativa concreta capace di sostituire l’attuale governo.
Accendere la fiamma può essere facile ma organizzare e costruire una contro proposta dal basso è complesso e il rischio di manipolazioni da parte del settore privato conservatore è reale.
Il Nicaragua del sogno utopico e della rivoluzione possibile oggi pare un romanzo orwelliano. Ortega é riuscito ad elevare la menzogna sistematica a strategia di governo ma la ribellione non cessa, la popolazione sembra aver messo da parte la paura nonostante stia vivendo il periodo píù sanguinario della sua storia recente.