David Mamet è venuto di persona all’Eliseo l’altro ieri, ad incontrare pubblico e studenti. In qualche modo lo doveva a Luca Barbareschi che per primo lo ha fatto conoscere in Italia, portandolo in scena e traducendone i testi. E lo scrittore è apparso lucido e divertito, con la sua maniera rude e divertente: ha preso le distanze dalla politica americana e dalla campagna elettorale in corso, e in qualche modo anche dalla cultura e dallo star system del suo paese (soprattutto dal tipo di recitazione degli attori made in Usa).
DOVE LUI per altro è un nome di grande successo. I suoi testi sono molto rappresentati, e ha scritto la sceneggiatura di film importanti, da Il postino suona sempre due volte a Gli intoccabili. Artisticamente è una figura a metà tra Harold Pinter (di cui riprende le famose «pause» nei testi) e Sam Shepard. Ma dimostra una invidiabile e rude sicurezza, e un grande spirito, legato forse alla Chicago in cui è cresciuto, rispetto agli stereotipi dell’intellettuale anglosassone,. Proprio con Sexual Perversity in Chicago debuttò sulle scene nel 1974, ma i suoi titoli più famosi restano American Buffalo (del’76) e Glengarry Glen Ross (che nell’84 vinse il premio Pulitzer).

Sono appunto  questi due i testi che hanno inaugurato in questo mese la stagione dell’Eliseo, nella sala grande e al Piccolo. Glengarry, col titolo Americani (repliche ancora fino al 30 ottobre) affidato a Sergio Rubini, l’altro a Marco D’Amore, che ne fa uno spettacolo rivelazione, destinato a restare tra i migliori della stagione. Questo America Buffalo non abita da un ambiguo rigattiere della periferia di Chicago, ma nel cuore dei Quartieri spagnoli: la traduzione del testo firmata da Luca Barbareschi (che li ha pubblicati entrambi per Sillabe) è stata a sua volta «ritradotta» da Maurizio De Giovanni, in un napoletano marginale quanto clamorosamente caldo ed efficace.

E i tre interpreti ne fanno un terreno di confronto esplosivo per la bravura di ciascuno: assieme allo stesso Marco D’Amore, Vincenzo Nemolato (che ne condivide tirocinio e apparizioni con Toni Servillo) e Tonino Tajuti, figura storica della ricerca partenopea, giunto a una straordinaria densità drammatica. D’Amore è oggi una star mediatica come protagonista di Gomorra in tv, ma qui con rigore si cala, con tutto lo spettacolo, in un lavoro duro e umile di interpretazione lontano anni luce dal format fiction (era uno straordinario personaggio nella Trilogia goldoniana di Servillo). L’elemento drammaturgico forte, che dalla scrittura di David Mamet passa dritto al ventre di Napoli, sta nei sentimenti, solo all’apparenza contraddittori, che muovono i tre personaggi.

Creature borderline pronte ad ogni traffico illecito, anche a colpi di pistola se serve (magari una giocattolo) eppure legati da un affetto profondo tra di loro, che nonostante i bisogni di ciascuno, manda a monte qualsiasi possibilità di compiere un «colpo», perfino quel furto di non grande cabotaggio ai danni di chi ha pagato fin troppo bene al rigattiere la monetina con la testa di bufalo.
Piccoli traffici e grande umanità, destinati tutti al fallimento. Ma a restare nel cuore dello spettatore. America Buffalo replica ancora oggi e domani al Piccolo Eliseo.