L’inno di Mameli gronda di retorica con qualche spruzzatina imperiale, secondo alcuni, altri sostengono che ha a che fare con i sentimenti di un popolo e le sue note toccano le emozioni più profonde. Risuonerà più volte quando scenderà in campo la Nazionale durante gli Europei di calcio, che sono iniziati ieri all’Olimpico e si protrarranno fino all’11 luglio. Ci auguriamo di sentirlo suonare il maggior numero possibile di volte fino al giorno del match decisivo, nella speranza che l’Italia guidata da Roberto Mancini conquisti il titolo europeo, un buon viatico verso i Mondiali che si terranno l’anno prossimo in Qatar. Ma al di là di ogni legittima speranza calcistica, alcuni vorrebbero cambiare l’inno e la polemica affiora soprattutto nei periodi di nazionalismo più acceso.

Gianni Mura
«Non mi piace, ma è l’inno del mio Paese e me lo tengo. Sceglierei Viva l’Italia di De Gregori, anche se con tutte quelle cornamuse di sottofondo si rischia di scambiarlo con l’inno della Scozia» confessò qualche anno fa il giornalista sportivo Gianni Mura, quando pubblicò il libro Confesso che ho stonato (Skira), lui che mandava a memoria con facilità i testi delle canzoni, anche quelle di San Remo e se ne intendeva fino a meritarsi un posto nella giuria del Premio Tenco. Se all’allievo Mura l’inno di Mameli non piaceva, al suo maestro, compagno di sigarette e di bottiglie di vino fino a tarda notte Gianni Brera, suscitava un garbato brontolio, ma in tribuna stampa si alzava in piedi e si toglieva il cappello quando suonava l’inno della squadra avversaria.

La destra
Qualche tentativo di variazione è stato fatto in occasione dei mondiali di calcio del 1990, organizzati in Italia, quando il duo Nannini-Bennato cantò Notti Magiche che a lungo risuonò nelle orecchie degli italiani anche tempo dopo i mondiali. Il binomio Inno di Mameli-Nazionale di calcio è singolare, perché viene suonato prima di ogni incontro disputato dagli Azzurri, questo avviene solo nel calcio, mentre negli altri sport le note risuonano solo quando un atleta italiano sale sul podio in occasione delle competizioni internazionali.

Negli anni del potere berlusconiano, la destra lamentò più volte che i calciatori della Nazionale non cantavano con trasporto l’inno di Mameli e che la gran parte si limitava a sillabare qualche parola. Le pressioni sui vertici della Federcalcio si fecero tali da imporre la distribuzione dell’intero testo a ogni giocatore con la richiesta di impararlo a memoria, ma i risultati ancora oggi stentano a vedersi e i più canticchiano qualche strofa. D’altronde un millennials che indossa la maglia azzurra è davvero pronto alla morte, come recitano i versi dell’inno di Mameli?

Inno fischiato
Oppure quel canto appartiene a un’Italia lontana nel tempo e forse in barba ai confini nazionali bisognerebbe pensare a un inno europeo?
L’inno di Mameli non piaceva a Carmelo Bene, che anni fa si espresse sull’argomento a partire da alcune sue sortite in Tv sul calcio, poi condivise sotto forma di dialogo con Enrico Ghezzi e raccolte nel libro Discorso su due piedi. Ecco quanto disse a proposito dell’inno di Mameli: «Ha poca importanza ostinarsi sull’italiota, su questo concetto del patriottico. In un Paese come il nostro il tricolore viene sventolato soltanto nelle partite di calcio. È un inno sciagurato, che porta male, ha una pessima musica, per tacere del testo ignobile. De Amicis si sarebbe vergognato di averlo scritto».

Eppure l’inno esprime il sentimento di una nazione e guai a fischiarlo. Si irritò molto Enzo Bearzot, l’allenatore che guidò l’Italia alla conquista del mundial del 1982 in Spagna, quando ai mondiali del 1990 ospitati in Italia, in occasione della semifinale Italia-Argentina disputatasi al San Paolo di Napoli, il pubblico fischiò sonoramente l’inno argentino. Il friulano non era più in panchina, da qualche tempo lo aveva sostituito Azeglio Vicini. Come sappiamo dalle cronache calcistiche, in quella semifinale gli Azzurri si portarono in vantaggio con Totò Schillaci, ma furono raggiunti dall’argentino Caniggia, in forza all’Atalanta, per il resto della partita non riuscirono a sbloccare il risultato e fu necessario arrivare ai rigori. Ebbe la meglio l’Argentina che vinse 4 a 3. Nella finale Germania-Argentina, che si disputò qualche giorno dopo all’Olimpico di Roma, il pubblico italiano si schierò apertamente con i tedeschi e sull’inno della nazionale biancoceleste piovvero fischi dagli spalti. Fu proprio in quella occasione, mentre la telecamera inquadrava ogni singolo giocatore, che Diego Armando Maradona in risposta a quei fischi tirò fuori tutta la sua rabbia e pronunciò il famoso «Hijo de puta». Che fare? Tenerci il testo di Goffredo Mameli, scegliere uno nuovo espressione dei nostri tempi, oppure abolire tutti gli inni nazionali e ritenerci cittadini del mondo?