L’autoproclamato califfato di Al-Baghdadi avrà difficoltà a raccogliere intorno a sé i musulmani di tutto il mondo. Perché per i gruppi islamisti, moderati e non, il battesimo a califfo Ibrahim del leader dell’Isil rasenta la blasfemia.

Ieri in un nuovo messaggio fatto circolare in rete, Al-Baghdadi chiamava i musulmani ad imbracciare le armi e unirsi allo Stato Islamico creato unilateralmente tra Aleppo e Diyala, dalla Siria all’Iraq. «Una nuova era» nella quale l’Islam trionferà, ha detto il leader invitando tutti a prendere parte alla jihad e a smascherare l’idolo della democrazia.

Ma già sono giunte reazioni dai diversi angoli del mondo arabo: gruppi armati attivi in Siria hanno condannato il nuovo califfato e fatto appello ai musulmani ad evitarne l’adesione. L’associazione sunnita irachena degli Studenti Musulmani ha puntato il dito contro il tentativo di demolire la già debole unità nazionale, mentre gruppi salafiti aderenti al Fronte Islamico hanno accusato l’Isil di voler così mascherare i crimini commessi.

E se il fronte islamista si spacca, non è apparso mai unito quello della classe politica irachena, alle prese con un pericoloso stallo del parlamento chiamato a nominare il nuovo esecutivo. Nel tentativo di riavvicinare a Baghdad la comunità sunnita e spezzare l’alleanza tra baathisti e Isil, ieri il premier Maliki ha offerto un’amnistia parziale agli iracheni che abbandoneranno le file jihadiste.

Ad approfittare del caos iracheno, con scopi e strumenti diversi, sono Teheran e Riyadh. Ieri il portavoce del governo iraniano ha sottolineato l’intenzione di cooperare con il governo iracheno. Nessun dettaglio, ma Teheran probabilmente proseguirà con l’invio di armamenti e, meno palesemente, di consiglieri militari e pasdaran.

Chi invece trova nella divisione settaria dell’Iraq un guadagno è l’Arabia saudita. Finanziatore dei gruppi islamisti anti-Assad, re Abdallah eliminerebbe un temibile concorrente nel settore energetico: Riyadh sarebbe l’unica in grado di coprire il gap lasciato da Baghdad, le cui risorse sono oggetto di spartizione tra Kurdistan e milizie sunnite. Senza dimenticare l’indebolimento dell’asse sciita a favore dei paesi del Golfo.