«Dite il suo nome» grida il ragazzo al megafono, «Malick Thiam» risponde il corteo. «Chi l’ha ucciso?» chiede ancora, «il razzismo» è la risposta. Ieri pomeriggio a Napoli attivisti e migranti si sono mossi da piazza Garibaldi per arrivare alla prefettura. È stata la comunità senegalese a organizzare la manifestazione, non vogliono che Malick venga cancellato dall’incendio, divampato la notte dell’11 giugno nella baracca del ghetto di Borgo Mezzanone, nel foggiano, dove ha perso la vita. Si era spostato in Puglia da un paio di giorni appena, non era un bracciante ma un venditore ambulante: quando proprio non riusciva ad arrangiarsi in altro modo, girava nelle campagne per la raccolta, tra Caserta, Salerno e Foggia. Persino nel ghetto cercava di arrangiarsi vendendo bibite e pasti agli altri migranti.

Sui documenti era scritto Mohamed Ben Ali, 37 anni del Ciad ma il suo nome era Malick Tiam E Hadji, veniva dal Senegal e aveva circa 40 anni. Il cambio di generalità era il modo che i migranti utilizzavano per ottenere il permesso per motivi umanitari. I ministri dell’Interno cambiano ma chi cerca condizioni di vita migliori deve comunque fare i conti con l’arbitrio di chi restringe gli accessi e poi chiude anche gli occhi difronte allo sfruttamento dei lavoratori stranieri. Era arrivato in Sicilia tre anni fa e poi era salito a Napoli, era stato nel circuito Sprar con la Less onlus, aveva fatto il suo percorso e ottenuto il permesso umanitario ma non era riuscito a convertirlo in uno per lavoro. Nel frattempo il decreto Sicurezza il permesso umanitario l’ha abolito.

Omar Ndiaye fa il mediatore alla Less: «Era un pittore, pieno di talento. Quando abbiamo saputo della morte ci siamo attivati per cercare i suoi parenti. Abbiamo scoperto che sua cugina vive a Napoli, il fratello è tornato in Senegal ma è stato 13 anni a Salerno». Dove si era stabilito anche Malick. Daouda Niang, presidente della locale Associazione senegalesi, lo conosceva bene: «Quando non c’era niente, quando era impossibile guadagnare, allora cercava in agricoltura. Se le istituzioni non lasciano lavorare gli ambulanti legalmente, succede che questi vanno a cercare il lavoro che capita, in qualunque condizione. Anche nella situazione di sfruttamento così grave che c’è a Foggia».

Abdel El Mir ha conosciuto Malick allo sportello di assistenza legale dell’Ex Opg Je so’ pazzo: «Era pieno di vita, veniva alle manifestazioni, aiutava chi aveva bisogno. Aveva seguito laboratori musicali, era molto bravo con chitarra e jambé. Ci ha lascito una sua canzone, La tratta degli schiavi, con cui descrive il percorso di chi arriva in Europa: racconta del sistema in patria che opprime, che costringe a traversare il mare, per poi trovare un altro sistema che continua a opprimere. Non vogliamo che sia considerato come un effetto collaterale dello sfruttamento nelle campagne».

Si sono presentati davanti alla prefettura perché lo stato non può lavarsene le mani: «Le istituzioni sanno cosa sono i ghetti – prosegue Abdel – eppure nessuno si occupa delle condizioni abitative dei migranti. Molti dei ragazzi che vanno a Foggia vivono a Napoli: vanno a fare la raccolta e rischiano di non tornare mai più. Non è accettabile che il prefetto resti in silenzio difronte a un orrore destinato a ripetersi». E infine: «La sanatoria del governo giallo rosso è una truffa. Si sta creando un mercato intorno ai falsi contratti: ai migranti vengono chiesti fino a 5 mila euro per un documento di durata limitata che perdi se non trovi un altro contratto». Farsi ascoltare non è facile: «Una vergogna che il prefetto non ci fosse – ha raccontato Alex Zanotelli -, negli uffici è iniziata una discussione per decidere chi li avrebbe ricevuti».