Corsi e ricorsi nella recente storia del Mali. Il presidente della repubblica, Ibrahim Boubacar Keita, è stato arrestato da militari golpisti martedì sera e portato alla base militare di Kati – circa 15 km da Bamako – da dove, otto anni prima, era cominciata un’altra rivolta che aveva fatto cadere il suo predecessore, Amadou Toumani Touré.
Il 21 marzo del 2012 i militari guidati dal capitano Amadou Sanogo non riuscirono ad arrestare il presidente Touré, che fuggì in Guinea, e Sanogo fu poi costretto a cedere il potere ad un governo civile di transizione che organizzò libere elezioni vinte nel 2013 da Keita, che venne rieletto anche nel 2018.

IBRAHIM BOUBACAR KEITA, noto anche come «Ibk», non è stato così fortunato. È stato arrestato, probabilmente nella sua casa nel distretto di Sebenikoro, insieme al primo ministro, Boubou Cissé e successivamente portato a Kati.
«Ho deciso di dimettermi e di sciogliere il parlamento e il governo – ha dichiarato Ibk in un messaggio trasmesso dalla televisione nazionale Ortm in tarda notte tra martedì e mercoledì – la mia è una scelta obbligata e non voglio che venga versato altro sangue, per rispetto del popolo maliano».

Scene di festa in tutto il paese dove centinaia di giovani si sono radunati in Piazza Indipendenza a Bamako, intonando slogan favorevoli ai militari ribelli di Kati. Molti partiti politici delle opposizioni hanno espresso sostegno ai golpisti richiedendo alla popolazione ed all’esercito «di evitare violenze e di portare il paese verso una transizione democratica».

IL MALI è interessato da una profonda impasse politica e Keita è stato sottoposto a forti pressioni da parte delle opposizioni, che lo hanno accusato di aver truccato i risultati delle elezioni parlamentari. Proteste che sono continuate nel paese per oltre due mesi – con 14 manifestanti uccisi e decine di arresti – a causa della crescente crisi economica, di una corruzione diventata endemica e di una generale insicurezza della popolazione in numerose aree del paese colpite dai gruppi jihadisti presenti nel paese vicini sia allo Stato Islamico (Eigs) che ad Al-Qaeda (Jnim).

Proprio a causa del crescente malcontento generale l’influente imam Mahmoud Dicko, i partiti delle opposizioni e un movimento della società civile hanno stretto un’alleanza politica chiamata «Movimento 5 Giugno» (M5-Rfp) per chiedere le dimissioni del presidente.

IL MESE SCORSO, il blocco dei Paesi dell’Africa occidentale (Cedeao) aveva proposto una mediazione con le opposizioni ed un piano in quattro punti per cercare di risolvere la crisi politica, ma i manifestanti hanno sempre rifiutato qualsiasi compromesso che non comprendesse le dimissioni del presidente, sempre fermamente rifiutate da Ibk.
Tensione che è cresciuta la settimana scorsa dopo un discorso molto duro da parte del presidente contro gli alti ufficiali dell’esercito accusati di «abusi, violenze e inerzia contro i gruppi jihadisti», accuse che, molto probabilmente, hanno portato i militari ad entrare in azione questo martedì.

IN UN COMUNICATO stampa di ieri la Cedeao ha dichiarato di seguire «con grande preoccupazione gli sviluppi in corso in Mali e la sua ferma opposizione a qualsiasi cambiamento politico incostituzionale, con una crisi che potrebbe destabilizzare tutta l’area del Sahel». Posizione condivisa dal presidente francese Emmanuel Macron che ha anche avuto colloqui con diversi capi di stato dell’area (l’ivoriano Alassane Ouattara, il senegalese Macky Sall e il nigerino Mahamadou Issoufou) e che in quel paese vede impegnati gran parte dei 5 mila soldati della missione anti-jihadista Barkhane oltre alla missione Onu, Minusma.

SEMPRE ATTRAVERSO il canale Ortm il portavoce dei militari golpisti, il colonnello Ismael Wagué, ieri ha dichiarato che «in poco tempo verrà avviata una transizione politica civile che porterà a libere elezioni» con la creazione di un Comitato Nazionale per la salvezza del popolo (Cnsp) che includerà tutte le forze politiche e della società civile del paese. Riguardo alle pressioni da parte della Cedeao, dell’Unione Africana e dell’Onu, Wagué ha affermato che «non si è trattato di un golpe, ma di un’insurrezione popolare» e che «verranno rispettati tutti gli accordi internazionali già in essere».