Nell’ultimo incontro stampa la giunta militare che lo scorso 18 agosto ha dimissionato il presidente Ibrahim Boubacar Keita (IBK), assumendo pieni poteri in Mali, ha certificato la già nota posizione degli ufficiali riuniti nel Consiglio nazionale per la salvezza del popolo: favorevoli a una transizione guidata dai… militari.

Lo chiede il popolo, aggiungono, sfidando il Movimento 5 giugno (M5-Rafp), che il popolo sceso nelle strade per mesi logorando la tenuta del presidente Keita pensava di rappresentarlo a pieno titolo. L’agglomerato di forze d’ispirazione religiosa e della società civile insiste per avere il ruolo che sente di essersi guadagnato sul campo, in un governo a trazione civile che porti il paese a libere elezioni. Come del resto chiede la massima istituzione regionale, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) che mantiene chiuse le frontiere con il Mali e ha già fatto scattare un meccanismo sanzionatorio per piegare la riottosa giunta. Ha dietro l’Onu, l’Unione africana e con qualche cautela ancora, la Francia. In questa consapevolezza «tutte le opzioni restano sul tavolo», ripete il colonnello-portavoce della giunta militare, Ismaël Wagué, «per un compromesso si devono fare dei sacrifici».

Prima della sua morte avvenuta martedì 15 settembre, il “grande ex”, ex generale ed ex uomo forte del Paese, Moussa Traoré, ha ricevuto con gioia poi elargita ai media una delegazione dell’attuale “Consiglio”  guidata dal suo giovane capo, il colonnello Assémi Goïta. Deve essere stato un gran giorno per lui, anche se uno degli ultimi, dopo la duplice condanna a morte commutata in ergastolo per i crimini commessi sotto il suo regime.

Suo padre combatté nell’esercito francese, ma quando nel 1968 Traoré guidò un golpe contro il “padre dell’Indipendenza” Modibo Keita il Mali voltò definitivamente le spalle a Parigi e guardò a Pechino. Un po’ isolato, ma con una fornitura garantita di tè verde che in Mali è quasi bevanda nazionale, Traoré mantenne kilo potere con il pugno di ferro fino alla rivoluzione dolce del 1991, quando il rinascimento anche culturale del Paese pareva persino dotato di una sua rappresentanza politica nel governo.

Finì con un golpe. E un mese fa di nuovo, con IBK rinchiuso nella stessa base dell’accademia in cui si sono formati tanto il vecchio generale-dittatore, considerato ormai un saggio, quanto l’ancora colonnello e poco più che trentenne Assémi Goïta.

Le preoccupazioni odierne di Macron, che manda i suoi soldati a morire per sostenere questo stesso esercito nella guerra al jihadismo saheliano, hanno dietro una lunga storia.