A meno di un’ora dal suo inizio, è stata rimandata a non si sa quando, per «ragioni di ordine organizzativo», la riunione convocata per ieri mattina a Bamako dalla giunta militare che ha preso il potere in Mali lo scorso 18 agosto. Al tavolo dovevano essere presenti tutti i partiti di opposizione e di maggioranza, diverse componenti della società civile e i gruppi armati del Nord che hanno siglato gli accordi di pace del 2015.

Il problema forse sta proprio nella lista degli inviti, che non comprendeva nel suo insieme il Movimento M5-Rfp, a cui si devono le costanti mobilitazioni che hanno finito per isolare l’ormai ex presidente Ibrahim Boubacar Keita e che per questo ora rivendica un ruolo di primo piano nella transizione. Spiccava inoltre l’assenza dei movimenti religiosi e in particolare dell’organizzazione che fa capo all’imam Mahmoud Dicko, vero “uomo forte” del fronte della protesta, che dalla sorta di ritiro spirituale in cui si è chiuso ha lasciato trasparire appena il suo malcontento per la piega presa dagli avvenimenti.

Il cosiddetto Comité national pour le salut du peuple che si è installato al potere sotto la guida del giovane colonnello Assimi Goita, dopo aver “convinto” alle dimissioni Keita, deve rispondere anche alla Cedeao, l’organismo economico regionale, che a suon di sanzioni esige un ritorno “immediato” a un governo formato da civili ed elezioni al più presto. Tutt’altra cosa rispetto ai tre anni di transizione a guida militare ipotizzati all’inizio dagli ufficiali golpisti.