In una crescente escalation di violenze (a sostegno di rivendicazioni politico-territoriali e di tentativi di destabilizzazione di un faticoso processo di pace) tra giovedì e venerdì scorsi combattenti islamisti hanno attaccato i ribelli Tuareg al confine settentrionale del Mali con l’Algeria.

Sei membri del National Movement for the Liberation of Azawad – il più grande gruppo separatista Tuareg – sarebbero stati uccisi nella città di Talahandak, e altri quattro sarebbero rimasti vittime di un agguato mentre erano a bordo di un convoglio diretto al confine. Secondo Sidi Ould Ibrahim Sidat, un funzionario del Coordination of Movements of Azawad (Cma), dietro gli attacchi ci sarebbero i combattenti di ben quattro gruppi islamisti, vale a dire al- Qaeda in the Islamic Maghreb (Aqim), il Movement for Unity and Jihad in West Africa (Mujwa), Ansar Dine e Front de Libération du Macina (Flm) «che si oppongono al trattato di pace» e si sarebbero uniti «per creare una coalizione».
Gli accordi di pace a cui si riferisce Sidat sono quelli firmati ad Algeri a giugno di quest’anno tra l’alleanza dei gruppi ribelli Tuareg – il Coordination of Movements of Azawad (Cma) – e il governo del Mali con cui è stata concessa più autonomia alle popolazioni del nord del Paese.

Dei quattro gruppi, Al-Qaeda in the Islamic Maghreb (Aqim) e il Front de Libération du Macina (Flm) sono gli stessi che hanno rivendicato insieme ad Al Mourabitoune l’assalto al Radisson hotel di Bamako di novembre scorso (21 morti, 170 ostaggi). In quell’occasione Aqim e Al-Mourabitoune avrebbero agito in joint venture. La rivolta islamista, benché sedata dalle truppe francesi nel 2013 con la riconquista di importanti città tra cui Timbuctù (posta sotto la protezione dei caschi blu dell’Onu), non ha mai cessato in realtà di rappresentare una minaccia. Se l’ambizione era e rimane quella di creare una sorta di califfato nel nord del Mali, l’alleanza – a scopi ovviamente strategici – con i gruppi separatisti (i Tuareg di ritorno dalla Libia carichi di armi dopo aver servito sotto Gheddafi) non poteva che esaurirsi in una breve parabola discendente.

Dal 21 dicembre scorso in Mali vige lo stato di emergenza per 10 giorni a seguito dell’intensificarsi delle minacce jihadiste degli ultimi mesi. Vittime di questa insicurezza sono ovviamente soprattutto le popolazioni civili. Secondo un recentissimo rapporto dell’Unicef, sarebbero 380.000 i bambini di età compresa tra i 7 e i 15 anni ancora fuori dalla scuola quasi quattro anni dopo lo scoppio di un conflitto che coinvolge gruppi armati rivali e militanti islamisti. Un scuola su sei nel Mali del Nord rimane chiusa, molte per il terzo anno consecutivo dopo essere state danneggiate, distrutte o occupate da gruppi armati. La maggior parte degli insegnanti lasciano i villaggi o si rifiutano di insegnare, e i genitori tengono i bambini a casa nel timore di attentati o che siano colpiti da mine inesplose lungo la strada verso scuola.