Due soldati della forza francese Barkhane nel Sahel, del I reggimento paracadutisti di Tarbes, sono stati uccisi sabato durante un’operazione e un terzo militare è rimasto ferito a causa dell’esplosione di un ordigno al passaggio del loro veicolo blindato nel regione maliana di Kidal (nord-est)» ha annunciato domenica in un comunicato l’Eliseo.

Esprimendo le condoglianze alle famiglie, il presidente francese Emmanuel Macron ha nuovamente sollecitato «l’immediata instaurazione di una transizione politica civile in Mali, conforme alle aspettative del popolo e di tutti i Paesi che lo sostengono, condizione fondamentale per una lotta efficace ai terroristi jihadisti».

SONO IN TUTTO 45 i militari francesi morti in Mali dal 2013 che si aggiungono alle centinaia di militari delle Fama (Forze Armate Maliane), morti in questi anni. Le ultime vittime risalgono a venerdì scorso, quando 10 soldati maliani sono stati uccisi in un’imboscata nella zona di Guiré, regione centrale vicino al confine mauritano.

L’attacco di venerdì è il terzo da quando l’esercito ha preso il potere con un colpo di stato il 18 agosto. Il 27 agosto 4 soldati maliani sono stati uccisi e altri 12 feriti in un’imboscata, mentre 6 militari sono morti il 1 settembre a causa dell’esplosione di un ordigno al passaggio di un veicolo militare.

TUTTI GLI AGGUATI sono stati compiuti nella regione centrale di Mopti vicina al confine con Niger e Burkina Faso. La cosiddetta zona “dei tre confini” è considerata attualmente l’area più a rischio nella quale imperversano i gruppi jihadisti legati sia allo Stato Islamico (Eigs) che ad al-Qaeda (Jnim) con incursioni contro civili e militari, in lotta per la supremazia nella regione.

La deposizione del presidente Keita – che sabato notte ha lasciato il paese verso gli Emirati arabi per cure mediche dopo l’ictus di giovedì – ha sorpreso i partner internazionali del Mali, che temono una destabilizzazione in tutta l’area. Dopo il golpe militare, inoltre, Onu, Usa e Unione europea hanno sospeso le loro missioni di addestramento in Mali, in quanto «progettate per sostenere le legittime autorità nazionali, al momento non riconosciute internazionalmente».

Di fatto sia la missione Onu Minusma, con oltre 10mila militari, sia quella francese Barkhane, con 5mila militari, che quella a conduzione europea Takuba – che prevede anche la partecipazione dell’Italia con 200 militari – sono sospese fino «ad un riconoscimento della transizione in atto a livello internazionale», secondo quanto riferito dall’inviato statunitense per il Sahel, J. Peter Pham.
PROPRIO PER QUESTO MOTIVO, la giunta militare o Comitato per la salvezza del popolo (Cnsp) ha avviato i primi colloqui in preparazione di «una consultazione nazionale dal 10 al 12 settembre», presieduta dal colonnello Assimi Goita, nuovo uomo forte del Mali. Un incontro che a cui parteciperanno tutti i partiti politici e i movimenti della società civile «per riportare un clima di unità nazionale nella transizione», come promesso dal Cnps.

I primi colloqui, però, hanno messo in evidenza i contrasti tra la giunta militare e il Movimento 5 giugno (M5-Rfp), che ha incanalato l’esasperazione dei maliani per la grave crisi di sicurezza, economica e istituzionale del paese e ora chiede una condizione di assoluta parità con la giunta. L’incontro di sabato è iniziato in notevole ritardo dopo la protesta dell’M5, escluso e poi riammesso a tutti i tavoli di concertazione per i colloqui tra le diverse forze politiche del paese.

LE DIFFERENZE sono legate alla tempistica sulla durata della transizione. I militari hanno promesso di cedere il controllo ai civili entro 30 mesi, mentre il Movimento 5 giugno richiede dai 18 ai 24 mesi. Un anno il tempo massimo concesso dalla Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao), che si è riunita ieri «confermando le sanzioni economiche alla giunta militare e richiedendo, per la stabilità dell’intera area, una transizione civile in tempi rapidi».