Maksym Nakonechnyi ha trentuno anni, alto, magrissimo, la voce delicata, un look molto contemporaneo, i tatuaggi disseminati qua e là – anche sulle dita delle mani come Robert Mitchum in La morte corre sul fiume, ma invece di «Love»/«Haine» c’è scritto «Techno»/«Rave». Insieme al cast e alla troupe del suo film, Butterfly Vision, presentato nel Certain Regard, ha salito le scale della sala Debussy con dei cartelli contro la Russia in sostegno del suo Paese, l’Ucraina. Lui vive a Kyiv dove ha studiato teatro, cinema, televisione realizzando diversi corti e documentari prima di questo esordio nel lungometraggio che è ispirato alle storie raccolte mentre montava nel 2018 il documentario collettivo Invisible Battalion. «C’erano dei racconti che mi avevano molto colpito in particolare una frase: ‘quello che aspetta le donne soldato se sono fatte prigioniere è peggio della morte’. È da qui che è nato il personaggio del mio film, Lila, che torna a casa dopo mesi nelle mani dei russi. È stata stuprata, ha subito ogni violenza, cerca di ritrovare la sua vita di prima ma il trauma è troppo forte. Iryna Tsilik con cui ho scritto la sceneggiatura è stata bravissima nel trovare la giusta dimensione al personaggio di cui volevamo restituire con chiarezza la visione su di sé e sul mondo intorno».

Maksym Nakonechnyl
Essere qui per noi è molto importante ma è anche un privilegio rispetto a chi non può uscire dall’Ucraina, c’è sempre la sensazione di non fare abbastanza

Ha girato «Butterfly Vision» prima dell’invasione russa, si aspettava che potesse esplodere questo conflitto?

La guerra va avanti in Ucraina dal 2014, finora non era estesa su tutto il territorio del nostro Paese ma questo non significa che non venivano commesse atrocità. La preparazione del film mi ha fatto conoscere tante vicende come quella vissuta dal mio personaggio, lo stupro è una strategia dei soldati russi. Le testimonianze di chi è stato detenuto nella prigione Izolyatsia, nel Donetsk, tenuta dai separatisti pro-Russia parlano tutte di violenze, di torture, è un campo di concentramento vero e proprio. C’è una donna soldato ucraina che adesso è stata fatta prigioniera a Mariupol, era tra i personaggi di un altro mio documentario, si chiama Yulia Payevska, sappiamo che è viva ma non abbiamo più sue notizie, parlare di lei forse può aiutarla. La situazione è ora ancora più grave, una carneficina come quella che i russi hanno compiuto a Bucha è stata uno choc atroce. Ma la nostra società era segnata dalla guerra ancora prima solo che fino a ora la comunità internazionale era distratta e noi provavamo a convivere con tutto questo.

Alla proiezione ufficiale del film avete manifestato per l’Ucraina.

Essere qui per noi è molto importante, ma è anche un privilegio rispetto a coloro che oggi non possono uscire dall’Ucraina e noi vogliamo usarlo per sensibilizzare il più possibile su quanto stiamo subendo. C’è sempre la sensazione di non fare abbastanza.

Cosa sta accadendo nel cinema ucraino con la guerra?

Molti registi hanno scelto di combattere al fronte, alcuni di loro sono stati uccisi, anche il mio insegnante di teatro. Altri non possono lavorare perché non ci sono soldi e non si possono pianificare le produzioni. Insieme a altri filmmaker con cui ho fondato Tabor, la casa di produzione del film, stiamo cercando di documentare il più possibile quanto accade, diamo voce alle persone, mostriamo quanto è terribile tutto questo per loro. Non sappiamo ancora se ne uscirà un film, per ora vogliamo creare degli archivi contro la propaganda russa.

Nel suo film lei mostra come le conseguenze della guerra permeano le esistenze anche a distanza.

Anche se non vi si presta attenzione, come è accaduto negli anni passati, la guerra influenza moltissimo la società. L’invasione russa ha sorpreso il mondo? È una forma di distrazione. Nel 2014 quando è iniziata era all’interno di un processo generale che riguardava l’indipendenza di una ex-colonia della Russia. L’occidente parla spesso di «post-sovietico» ma è un artificio, si deve parlare di «decolonizzazione» e rispetto a questo c’è un paese che vuole controllarne un altro. Dicono che da noi ci sono i nazisti, ma l’estrema destra in Ucraina ha solo il 3%, non è in parlamento mentre in Francia Marine Le Pen è arrivata al ballottaggio presidenziale. Poi dei vecchi combattenti sono tornati dal fronte con una visione molto binaria delle cose e il bisogno di esasperarle: però è una loro responsabilità individuale non riguarda l’intero Paese.