La parola trattativa non è mai stata pronunciata, ma per Giorgio Napolitano è chiaro che gli attentati mafiosi dei primi anni 90 rappresentarono un «aut aut» di Cosa nostra allo Stato: o si allentava la pressione antimafia, oppure le stragi sarebbero continuate con lo scopo di destabilizzare le istituzioni. «Un ricatto», lo ha definito il capo dello Stato che ha però negato di sapere a cose si riferisse il suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio quando parlò di «indicibili accordi».

A riferire le parole del presidente della Repubblica è stato ieri il pm Nino De Matteo al termine della testimonianza resa da Napolitano al Quirinale davanti alla corte di Assise di Palermo. Una testimonianza «utile per ricostruire il quadro dei fatti del 1992 e del 1993 – ha proseguito Di Matteo – soprattutto per ricostruire il clima e per cercare di capire quale fu la percezione a livello più alto delle istituzioni degli attentati del maggio e del luglio 1993».

E’ durato poco più di tre ore, interrotto solo da una pausa di 15 minuti, l’interrogatorio di Napolitano davanti ai giudici, pm e avvocati del processo sulla trattativa Stato-mafia. Tre ore durante le quali il presidente della Repubblica non si è sottratto alle domande accettando di rispondere anche a quelle che, grazie ai paletti di riservatezza imposti a suo tempo dalla Corte costituzionale, avrebbe potuto evitare. Seduto a una scrivania, il presidente ha declinato le generalità dopo di che è toccato come previsto al procuratore aggiunto Vittorio Teresi dare inzio all’interrogatorio. Da Napolitano i magistrati siciliani volevano sapere soprattutto due cose: cosa intendeva dire Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del Colle, quando nella sua lettera di dimissioni, poi respinte, gli scrisse di essersi sentito usato nei primi anni 90, quando lavorava al ministero della Giustizia insieme a Giovanni Falcone. E poi se avesse saputo dell’attentato che, sempre in quegli anni Cosa nostra aveva progettato contro di lui, all’epoca presidente dalla Camera, e Giovanni Spadolini che ricopriva lo stesso incarico istituzionale al Senato.

Sul primo punto il capo dello Stato ha negato che D’Ambrosio gli abbia spiegato a cosa si riferisse parlando di «indicibili accordi» e di non essere mai sceso nei dettagli della lettera. «D’Ambrosio era una persona di una tale correttezza e lealtà che se avesse avuto altro che un’ipotesi sarebbe andato all’autorità giudiziaria a denunciare tutto», ha spiegato. Aggiungendo di aver cercato di restituire serenità a D’Ambrosio, amareggiato per la pubblicazioni delle sue telefonate con l’ex ministro degli Interni Nicola Mancino, accusato nel processo di falsa testimonianza.

C’è poi il capitolo relativo agli attentati del 1993, che secondo la procura di Palermo avrebbero portato lo Stato ad accettare di trattare con la mafia fino al punto di revocare più di 300 provvedimenti di 41 bis.
Napolitano ha ricostruito quegli anni negando che le forze politiche si siano mai divise sulla necessità di dare una risposta forte al «nemico mafioso».

A questo punto il pm Di Matteo gli ha chiesto se seppe mai della richiesta di Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo e secondo la procura tra i protagonisti della trattativa, di essere ascoltato dall’antimafia. «Me lo disse Violante, ma non mi spiegò mai perché poi non lo convocarono», è stata la risposta del capo dello Stato.

Infine gli attentati che la mafia avrebbe progettato contro di lui e Spadolini. A parlarne è una nota del Sismi datata 20 luglio 1993 rinvenuta nei giorni scorsi dalla procura di Firenze e ammessa tra gli atti del processo palermitano.

Napolitano ha confermato di essere stato informato dall’allora capo della polizia Vincenzo Parisi. Stando alle informazioni raccolte dal servizio militare, in programma ci sarebbe stato prima un attentato con un gran numero di vittime civili, poi un altro contro alte personalità dello Stato. Il nome suo e quello di Spadolini sarebbero stati fatti proprio per dare l’idea dell’importanza degli obiettivi scelti. Parisi, ha proseguito Napolitano, gli avrebbe comunicato che gli 007 consideravano le informazioni ricevute con cautela, ma aggiungendo che l’attendibilità della fonte era tale da non ritenere necessario annullare impegni o partenze.

Comunque sia Napolitano rifiutò inizialmente un rafforzamento della scorta e andò in vacanza a Stromboli. Cosa che invece accettò in un successivo viaggio a Parigi.