Gli indiani d’America sono finalmente andati in meta. Dopo anni di polemiche, petizioni, appelli della politica di parte democratica per cambiare quel soprannome ritenuto offensivo dai nativi, i Washington Redskins, una delle squadre più famose della National Football League (Nfl, tre titoli nazionali), hanno deciso di cambiare. Ora sono, finalmente, redskin, ovvero pellerossa. E dopo 87 anni cambia anche il logo, che ogni giorno alla voce merchandising va a incrementare le casse della franchigia della capitale statunitense. Il nuovo nome e il logo verranno resi noti nei prossimi giorni. Un’onda collettiva, inarrestabile, seguita alla morte di George Floyd, il 47enne afroamerican soffocato qualche settimana fa a Minneapolis da un poliziotto. La luce di Black Lives Matter per strada, in tv, sui social ha rimesso in discussione negli Stati uniti, anche nello sport, tutto ciò che è stato ritenuto, vissuto come un’offesa razzista, come una violenza, una forma di sopraffazione. Sui neri, sui latini, anche ai danni dei nativi americani.

UN PROCESSO di emancipazione delle minoranze etniche che, nel caso dei Redskins, ha mosso i primi passi oltre sette anni fa grazie a un manipolo di membri democratici del Congresso che inviarono una lettera al commissario della Nfl, Roger Goodell, al proprietario della squadra, Daniel Snyder e agli altri paperoni della Nfl affinché quel nome, ritenuto caricaturale, fosse cancellato. Contenuto razzista, cos’ lo definisce anche il Merriam-Webster’s Dictionary: «Redskin è una definizione razzista e offensiva quanto lo è quella che comincia per N, riferita alle persone di colore». Ovvero negro, si gira sempre intorno alla discriminazione delle minoranze. Ma il pericolo è stato sempre aggirato sia da Washington che dalla stessa Nfl, che con quel logo – vale al momento 3,4 miliardi di dollari secondo la rivista Forbes – ha costruito il mito della lega del football americano.
L’ultimo appello dalla politica è arrivato dalla 31enne democratica Alexandria Ocasio-Cortez – nota ache per la campagna razzista subita via tweet del presidente Trump -, che pochi giorni dopo l’uccisione di George Floyd, durante il Blackout Friday ha esortato i Redskins di cambiare nome, se davvero fossero stati schierati per il rispetto delle minoranze. Ma l’accerchiamento ai danni della franchigia di Washington e della Nfl ha poi portato il 3 luglio investitori e azionisti a scrivere agli sponsor della squadra affinché sospendessero ogni rapporto commerciale fino a quando non fosse sparita la parola redskin e il logo. Comprese aziende colosso come FedEx, PepsiCo e Nike e poi anche Amazon.

E STAVOLTA il proprietario di Washington ha ingranato la retromarcia (nel 2003 disse che mai avrebbe cambiato), via il nickname indigesto agli indiani, ma assai apprezzato da Donald Trump che ha più volte spalleggiato la Nfl a non autorizzare il cambio del nome, utilizzato dal 1933 quando la base della squadra era a Boston. Sino alla notizia di ieri, comunicata dai Redskins via Twitter. Ma per i nativi americani potrebbero non essere terminate le soddisfazioni, la cancellazione dei soprannomi offensivi ora si sposta sulla rappresentazione caricaturale di Chief Yahoo, un capo indiano tipo Toro Seduto, adatto a un western movie e mascotte dei Cleveland Indians, una delle franchigie della Major League Baseball. E forse anche i Golden State Warriors, tre titoli nella Nba negli ultimi cinque anni, potrebbero dover pensare a un nuovo nickname, come sostenuto in un tweet da Carmelo Anthony, tra le stelle della Nba.