Le larghe intese, dice Renzi, «sono giochini alle spalle degli italiani». Eppure andranno avanti. Nichi Vendola, c’è un Pd e un Renzi in due tempi: il futuro delle intenzioni e il presente in cui vota tutto.

Bisogna prendere sul serio Renzi e incalzarlo sul terreno della concretezza, segnalando ai suoi apologeti i rischi delle retoriche nuoviste. Alla Leopolda è andato in scena il ’mai più larghe intese’. Ma se le larghe intese sono la crisi della politica e l’agonia della sinistra, perché quel ’mai più’ è proiettato in un indefinito domani? Le larghe intese sono percepite come una minaccia dalle straordinarie piazze del 12 ottobre- in difesa della Costituzione – e del 19 – la denuncia della ferocia delle politiche dell’austerità. E ora suscitano indignazione anche nella platea della Leopolda: allora perché il Pd ne è il pilastro? Renzi abbandoni il teatrino e guardi la realtà. Altrimenti ’mai più larghe intese’ diventa un biglietto dei Baci Perugina. Di Renzi apprezzo lo sforzo di rinnovare il linguaggio, ma con un’avvertenza: il marketing non può sostituire la politica. Non servono furbizie lessicali, né la via semantica al socialismo. Vorrei capire qual è la sua idea del declino del paese, del suo sprofondare nella povertà diffusa.

In realtà alla Leopolda c’erano manager e imprenditori che invocavano ricette chiare.

Dobbiamo essere precisi nella diagnosi dei problemi. Lo dico con la massima apertura culturale, ma c’è una parola antica che afferra le caviglie delle giovani generazioni, del lavoro e delle famiglie: ’diseguaglianza’. Nessuno propone la pianificazione sovietica né il collettivismo. Ma non può essere un finanziere di quelli che hanno lucrato sulla crisi a presentarsi come il medico della cura. L’Italia ha bisogno di più uguaglianza, più diritti, di più welfare, certo un nuovo welfare.

Parla del finanziere Davide Serra?

Parlo in generale. Certo, l’intervento di Serra mi è sembrato una goffa semplificazione della realtà. Ci sono personaggi-simbolo che hanno l’abilità trasformistica di stare sempre sul banco degli accusatori, quando sarebbe più pertinente vederlo su quello degli accusati.

Così non ha paura di essere ricacciato nella polemica del vostro slogan ’anche i ricchi piangano’?

No. La povertà è cresciuta e anche la ricchezza di chi gode di un trattamento fiscale di favore. Solo in un paese berlusconizzato ci si autocensura dinanzi alla necessità di una patrimoniale sulle rendite finanziarie.

Sulla legge elettorale, Renzi propone la suggestione del ’ sindaco d’Italia’. È d’accordo?

È la parte del discorso che trovo più vecchia. La suggestione presidenzialista è figlia di una vecchia operazione ideologica che cerca di attribuire alla democrazia la colpa delle inefficienze e delle crisi. Renzi rifletta meglio. La democrazia dev’essere salvaguardata dai richiami plebiscitari e dagli uomini della provvidenza.

A lei piace il proporzionale?

Renzi difende vede nei disegni proporzionalistici l’eternizzazione delle larghe intese. Il sistema elettorale non è un feticcio. C’è un’evidente di crisi della democrazia e una sfiducia verso le istituzioni. Il sistema elettorale dev’essere l’ago e il filo che cuce migliori rapporti fra dirigenti e diretti, fra stato e popolo. E invece ognuno vuole un abito su misura per le convenienze.

Il capogruppo di Sel alla Camera paragona la Leopolda a un social forum. Anche per lei è così?

Un contenitore effervescente può stimolare suggestioni. Ma sui contenuti la Leopolda era molto, molto, distante dai social forum.

In Sel si è aperta una riflessione autocritica sulla non partecipazione al corteo del 19 ottobre sul diritto all’abitare?

Stavolta vale anche per noi: il dito indicava la luna e noi ci siamo concentrati sul dito. Siamo rimasti prigionieri della paura che il 19 potesse diventare un momento di militarizzazione del conflitto, di espressione violenta del dissenso. E noi su questo terreno viviamo – uso una parola rubata a Alex Langer – una ’conversione culturale’ che viene da lontano. Per noi la nonviolenza un principio ma anche il terreno più agevole per la ripubblicizzazione della politica. E così non ci siamo accorti che la geografia della crisi prendeva la parola, marginalizzava i violenti e introduceva nell’agenda pubblica il fatto che la condizione materiale di chi è sfrattato o senza reddito porta fuori dall’idea della cittadinanza.

Questo porterà a un effetto concreto nella politica di Sel?

Ci sono altre agende che meritano di vivere nei luoghi della democrazia. L’agenda del 19 rappresenta un brutale gancio con la realtà, poco ideoneo a confrontarsi con l’agendina propagandistica del governo Letta. Ma c’è anche l’agenda di Libera e della campagna «Miseria ladra», quella di Sbilanciamoci. C’è un radicalismo di governo che va ricostruito nella connessione fra movimenti e politica.

Vuol dire che ci sarà un big bang nella sinistra a sinistra del Pd?

L’infinita transizione italiana continua, l’impegno alla deberlusconizzazione della politica e della società è di lunga lena. Ci attendono prove impegnative a cui dovremo corrispondere con il massimo coraggio. Costruire uno spazio pubblico che chiami in causa il Pd ma anche il mondo che si mobilita per la Costituzione, e l’infinita carovana delle vertenze anticrisi. È un’operazione quasi acrobatica, ma da tentare. Renzi occupa uno spazio che la crisi delle nomenklature postdc e postpci ha reso gigantesco. Nel suo discorso ci sono cose nuove e cose che hanno a che fare con la trasformazione culturale italiana. Ma certo non si può replicare all’Italia partorita dal Grande Fratello ritornando alle Frattocchie.

Nel Pd c’è questo rischio?

C’è in tutti noi. Dobbiamo abbattere le barriere che impediscono ai mondi diversi di confrontarsi. Lo dico anche a Gianni Cuperlo: mentre cerchiamo il meglio, non possiamo tenerci il peggio. Ne va della credibilità del progetto.

C’è un nuovo centrosinistra nell’agenda di Renzi?

Il nuovo centrosinistra ha bisogno di essere una visione del futuro dell’Italia. Parole precise su reddito, diritto allo studio, alla casa, riconversione ecologica dell’economia, libertà e competenze della donne, ruolo dell’Europa nel Mediterraneo e sul ripudio della guerra.

Si è ucciso un altro ragazzino omossessuale.I nostri ragazzi vivono una solitudine che nessuno riesce a riempire?

Oggi almeno questa tragedia non resta in una dimensione privata. Dà la dimensione di quanto le esistenze materiali paghino all’ipocrisia clericale che ha accompagnato i vizi privati della classe dirigente. Ogni parola omofoba fa esplodere una guerra nella testa di qualcuno. Ciò di cui tutte le Leopolde oggi dovrebbero occuparsi è che si è più soli quando rivendichiamo il diritto all’amore, alla formazione e al lavoro. Il compito delle forze di progresso dovrebbe essere questo: rompere la solitudine delle persone.