«Abolire dal vocabolario quotidiano la parola emergenza, azzerare gli affidamenti diretti, smantellare i ghetti etnici. Ma soprattutto: mai più la tecnica deve avere il sopravvento sulla politica». È ben chiara la rotta dell’assessora del comune di Roma Francesca Danese, fin da subito consapevole che il suo non sarebbe stato un compito facile. Non a caso nel dicembre scorso, appena dopo la prima ondata di arresti di Mafia capitale, è stata chiamata dal sindaco Marino a occuparsi di Politiche sociali e abitative, l’ambito nel quale è prosperato il sistema che ha ridotto la Capitale ad una vacca da mungere e ha allevato nella clientela e nella corruzione un pasciuto «mondo di mezzo». E infatti Danese è finita sotto scorta dal 23 marzo scorso. «Mi sono assunta una responsabilità non da poco», dice quasi sottovoce.

Le è giunta inaspettata, questa seconda ondata di arresti?
Non so se me lo aspettavo, però sono arrabbiata. Da quando sono arrivata ho lavorato per riportare trasparenza e qualità. Per esempio, mancava un lavoro di monitoraggio e valutazione, uno studio della città e delle sue trasformazioni continue, un contatto diretto con i cittadini. Oppure, mi sono sempre chiesta come si facesse a lavorare in dodicesimi: senza soldi certi infatti non si possono neppure fare le gare europee. Per fortuna oggi per la prima volta abbiamo un bilancio preventivo e a breve potremo finalmente partecipare a una gara europea per le politiche abitative. Ho visto servizi concessi in affidamento diretto con proroghe continue dal 2009. E ad un certo punto ho perfino trovato bandi pubblicati senza che ne avessi preso visione. Benedetta la “direttiva Sabella”, che impedisce i bandi senza la supervisione politica. Ecco, per me questo è uno degli argini da mettere per evitare il dilagare di corruzione: la tecnica che prende il sopravvento sulla politica. Ma sia chiaro: anche il personale dei dipartimenti è frastornato perché a fronte di pochi dirigenti scorretti ci sono tanti lavoratori perbene che però non hanno mai avuto una formazione adeguata per affrontare i cambiamenti che si sono prodotti rapidamente nella società romana negli ultimi anni.

L’ex prefetto di Roma, Pecoraro, sostiene che ci sono ancora le condizioni per lo scioglimento per mafia del comune.
In questo momento c’è una giunta che sta rimettendo in piedi la città, sarebbe assurdo perdere proprio ora un lavoro incredibile che si sta facendo. Però Pecoraro prima non si era accorto delle infiltrazioni.

I tagli al welfare hanno impoverito i poveri ma non hanno impedito di far ingrassare le vacche…
Ed è questo che mi fa arrabbiare di più: quelle poche risorse a disposizione per il welfare, che dovrebbe essere la rivincita dell’Italia per tenere alta la guardia su un modello sociale europeo che sta svanendo, sono state fagocitate da una cricca di mascalzoni che ha impoverito ulteriormente i ceti più bassi e ha anche danneggiato gravemente tutto il mondo della cooperazione, lasciando più soli gli ex detenuti, i portatoti di handicap o i malati psichici o fisici. E ora bisogna preoccuparsi anche delle famiglie degli operatori sociali che lavorano nelle cooperative finite nella bufera giudiziaria e che rischiano di pagare un prezzo troppo alto per crimini commessi dai loro dirigenti.

Casa, campi rom e immigrazione fruttano quanto la droga, nel business della mala romana. Cosa sta facendo per sottrarre acqua al pantano in cui si è infognata la Capitale?
Faccio alcuni esempi: quando sono arrivata c’erano 31 residence per l’emergenza abitativa che costavano 41 milioni di euro l’anno. Erano residence spesso ottenuti da uffici a cui avevano cambiato destinazione d’uso e trasformati in appartamenti con materiali scadenti. In alcuni casi, appartamenti da 60 metri quadri che costavano al comune 3 mila euro al mese, e comunque la media è di 1900 euro al mese per famiglia. Abbiamo cominciato a chiuderli, risparmiando finora già 4 milioni di euro che saranno investiti in buoni casa. Però non è facile: ci sono state azioni di ritorsione. In una struttura, appena dato l’annuncio della chiusura, hanno tagliato luce e gas per far crescere la tensione sociale e sobillare le famiglie contro il comune.

Dalle intercettazioni sembra che anche le occupazioni fossero diventate un business.
Stiamo verificando, con i vigili urbani e la guardia di finanza, caso per caso chi ha diritto ad un alloggio popolare. Non tollereremo comunque in nessun caso l’abusivismo dentro gli alloggi popolari. Altra cosa, però, sono le 109 occupazioni riportate nel dossier che ho ricevuto dal prefetto: stiamo parlando di un settore sociale debole che si auto organizza e ricorre alle occupazioni. In questo caso il problema è politico e non di ordine pubblico, e coinvolge l’intera giunta. Stiamo cercando per tutti margini e risorse. Se poi anche all’interno delle occupazioni “sociali” qualcuno ci ha giocato, tolleranza zero anche per loro.

Il suo “piano rom” avrebbe dovuto essere presentato in giunta già la settimana scorsa. Cosa prevede?
È un piano che punta al superamento dei campi rom e, basandosi sui quattro pilastri della strategia nazionale che l’Europa ci impone di adottare – istruzione, lavoro, salute e casa -, ha bisogno di un’azione condivisa tra assessori e municipi. Perciò stiamo aspettando che torni un po’ di calma per discuterlo e farlo partire, ma è una questione di pochi giorni. Abbiamo già cominciato a chiudere i campi illegali ma soprattutto stiamo facendo un monitoraggio per conoscere la situazione socio-economica di ciascuna famiglia che vive nei campi. Chi ha diritto ad un alloggio entrerà nelle graduatorie. Per velocizzare lo smantellamento dei campi però stiamo prevedendo un progetto di auto costruzione su terreni messi a disposizione dal comune e che stiamo finendo di individuare. Ma il vero progetto sta nell’attivare quei percorsi di integrazione che finora nessuno ha tentato, dando più potere alle donne, aumentando la scolarizzazione e favorendo la nascita di cooperative.

Oggi sarà presentata la prima condanna inflitta dal tribunale di Roma al Campidoglio per il carattere discriminatorio dei campi rom. Che costano milioni di euro l’anno.
Costavano 22 milioni di euro nelle precedenti amministrazioni. Quest’anno il budget è sceso a 8 milioni. Il comune pagava ad uno dei ras di Mafia capitale 26 mila euro al mese per il terreno dove sorge il campo di Castel Romano, allargato dalla giunta  Alemanno. Io vado in direzione opposta. È un lavoro difficile, troveremo resistenze dovute al razzismo dilagante e anche da parte di alcuni capo clan rom. Ma il percorso è già avviato e non va interrotto.

Marino disse che Roma può e deve fare di più nell’accoglienza di profughi e rifugiati. Ma come evitare la concentrazione dei servizi  nelle mani di pochi?
Qui sono determinata a fare ciò che a Roma non è mai stato fatto:  le strutture di accoglienza devono essere riservate solo ai transitanti che sono un numero imprecisato e a cui vanno riservati servizi a bassa soglia. E questo è un problema che va affrontato in sede nazionale. Ma per chi ha già ottenuto uno status si deve aprire il percorso di integrazione vera. Vanno  svuotate tutte quelle strutture occupate abusivamente dove vivono i rifugiati. Ho in mente un’immagine che racconta bene il motivo per cui queste strutture sono sopravvissute negli anni: davanti ad uno di questi ghetti etnici,  Pace Salem, nell’estrema periferia romana c’è una delle sedi de La Cascina.