Dopo il successo dei gialli di Qiu Xiaolong la casa editrice Marsilio propone al pubblico italiano un altro scrittore dalla Cina (benché Qiu Xiaolong viva a St.Louis), presentato un po’ enfaticamente come «la risposta cinese a John Le Carré» (l’ha scritto il Financial Times). Si tratta di Mai Jia e del suo Il fatale talento del signor Rong (Marsilio, pp.414, 18,50 euro). Mai Jia ha un passato misterioso, ha lavorato per i servizi segreti del suo paese e oggi è uno scrittore completamente realizzato e apprezzato in Cina, tanto da essere anche il presidente dell’associazione nazionale degli scrittori.

Con l’opera tradotta per Marsilio da Fabio Zucchella Mai Jia ha anche vinto il prestigioso Mao Dun, il premio letterario più ambito di Cina. Il libro – considerato il suo capolavoro – viene presentato come una spy-story, ma ha ben più caratteristiche cinesi che occidentali. Anzi, all’inizio Mai Jia si muove su un sentiero già percorso dagli scrittori cinesi, quello delle origini delle famiglie, epiche sotterranee nell’intrico della Storia. La famiglia di Rong divora gli anni, con pochi riferimenti storici se non quello relativo alla rivoluzione culturale. Questo è un segnale: Mai Jia è infatti uno scrittore decisamente rispettoso nei confronti dell’attuale dirigenza cinese. La famiglia Rong dunque assiste, quasi da spettatrice, all’evolversi del suo Dna chiaramente improntato alla scienza e alla matematica, fino all’arrivo di un altro ragazzo, con la testa grossa come sua nonna, capace di gestire i numeri in modo geniale.

Il giovane, introverso e schivo, viene ben presto notato, di fatto è orfano, e «sequestrato» da un misterioso signore zoppo a capo di un’unità dello spionaggio cinese. Rong entra così nel mondo ovattato e crudele della crittografia, un universo di mistero e inganno capace di rosicchiare piano piano quel che resta della razionalità dei suoi protagonisti. L’incubo diventerà reale per Rong quando perderà, forse accidentalmente forse no, un taccuino nel quale si trovano i calcoli per decodificare Nero, il codice del nemico X creato a causa del capolavoro di Rong, lo scardinamento del precedente codice Porpora.

Gli ingredienti ci sono tutti. Il problema è che il libro, all’interno del quale ci sono inserti di interviste e diario, come se il narratore fosse una sorta di giornalista o ricercatore a caccia del segreto più intimo di Rong, a un certo punto sembra abdicare alla sua natura misteriosa. È un paradosso: nel momento in cui la narrazione si fa realistica (la storia della famiglia), il mistero avvolge lentamente il lettore.

Quando la palla passa alla parte più specificamente «spy» del libro, cala la tensione, mancano gli appigli di tensione che incollano alla pagina. Il libro scende in una introspezione un po’ semplicistica e, di fatto, annulla gran parte del mistero accumulato e che si pensava avrebbe finalmente tracimato. Rimane la sensazione di assistere a una sorta di introduzione a qualcos’altro, come a voler spostare l’attenzione.

Mai Jia – va però specificato – rappresenta in modo plastico l’attuale situazione della letteratura mainstream cinese, troppo aderente alla necessità di creare fenomeni virali, capaci di vendere e ancora troppo poco autonoma rispetto all’Occidente (non accade questo, ad esempio, nella fantascienza cinese).