Forse ha ripensato alla performance del titolo Mediaset di lunedì scorso, due giorni dopo il maxi-vertice di Arcore dal quale era partita la dichiarazione di guerra al governo Letta. Magari sono stati i suoi figli o Confalonieri a ricordargliela. Come che sia, Silvio Berlusconi tira ancora una volta il freno e nega di aver detto, appena l’altroieri, che se il Pd voterà per la sua decadenza da senatore sarà la fine dell’esecutivo delle larghe intese.

Il Cavaliere esterna a metà mattinata, quando si siede al fianco di Marco Pannella a un banchetto dei radicali e firma i referendum. Giura appunto di non aver mai consegnato ultimatum al governo, i giornali hanno scritto cose mai dette perché anzi il governo «ha fatto cose egregie» anche perché avrebbe rilanciato il settore edilizio, aggiunge, e poi è stato lui stesso a voler mettere in piedi il governissimo, «fortissimamente». I ministri pronti a dimettersi se il capo sarà messo alla porta del parlamento? «Questo è quello che mi dicono gli stessi ministri, chiedetelo a loro. Comunque io mi auguro che non accada».

Però lo stesso Berlusconi subito aggiunge: «Spero che il governo possa continuare, spero che nel Pd prevalga il buon senso. E’ una cosa che rientra addirittura nell’assurdità che una forza democratica come il Pd pretenda che un’altra forza alleata possa restare a collaborare al tavolo del governo se gli si sottrae il fondatore e il leader». La sintesi del ragionamento dovrebbe essere: se il Pd vota per la decadenza, il Pdl fa saltare il tavolo. Ma non si chiami ultimatum. Anche perché le elezioni potrebbero non essere a portata di mano, e anche se lo fossero finché non sarà assicurata la cancellazione della seconda rata dell’Imu (per le coperture si vedrà a metà ottobre) meglio evitare colpi di testa, avendo sbandierato la vittoria sul quel fronte.

Se rispetto al governo il Cavaliere alterna minacce e complimenti, almeno sulle toghe il ritornello non cambia: «Sono in questa situazione per colpa di una parte della magistratura, Magistratura democratica. Sono diventati i padroni di tutti i collegi che mi hanno giudicato. Le condanne sono esclusivamente politiche, tese a un disegno preciso, eliminare l’ostacolo Berlusconi».

Certo, l’approssimarsi della prima seduta della giunta dedicata al suo caso, il 9 settembre, rende Berlusconi sempre più nervoso. Il Pd per il momento non arretra: sul ricorso alla Corte costituzionale voterà no. E se la questione non si chiuderà certo il 9 settembre, «non sarà neanche il 9 settembre 2014», dice il senatore Massimo Mucchetti.

Nell’attesa della fatidica data, il balletto continua: «Il Pdl ha fortemente voluto questo governo, indispensabile per la vita del Paese. Ma per governare assieme occorre solidarietà e rispetto reciproco, per questo ci aspettiamo dal Pd una posizione non pregiudiziale ma di ascolto alle nostre posizioni giuridiche. Rispetto significa questo», spiega il capogruppo al senato Schifani. Insomma, il Pd dedichi almeno un po’ di tempo a sentire perché la legge Severino sarebbe incostituzionale.