Sempre più lontani e mai così distanti dal 1945. L’America di Trump e la Germania di Merkel ormai sono incompatibili perfino sotto il profilo dell’Alleanza Nato, nata in teoria per proteggere Berlino. Ieri il consigliere per la sicurezza nazionale degli Usa, Robert O’Brien, ha siglato il via libera definitivo al ritiro di un terzo del soldati americani dalle basi tedesche. Richiamati negli Usa o trasferiti in altri Paesi Nato quasi 10mila dei 34mila militari schierati nelle caserme della Germania Ovest. Mentre lo standard massimo di presenza americana, comprese le esercitazioni, da oggi passa da 52 mila uomini a 25 mila.

È la ritorsione al Nein danke della cancelliera all’invito del presidente Usa per il G7 alla Casa Bianca. La ripicca all’«ingratudine» di Merkel a cui Trump aveva telefonato prima di chiamare Parigi, Londra e Roma. E l’ultimo sintomo del crollo delle relazioni bilaterali fra Berlino e Washington che hanno raggiunto il minimo storico dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Impossibile fare collimare due visioni opposte, come testimonia la crisi diplomatica permanente incarnata da Richard Grenell, super-falco fedelissimo di Trump, nominato ambasciatore a Berlino proprio per disarticolare il multilateralismo di Merkel. Un uomo dalle maniere spicce (così la tv di Stato) che negli ultimi due anni ha bacchettato il governo tedesco sui tre punti che Washington non intende tollerare. Berlino non versa il 2% del Pil per le spese militari della Nato, tra Germania e Russia corre il raddoppio del gasdotto Nord Stream controllato a Mosca, e l’accordo politico-commerciale con Pechino non è stato scongiurato dall’annullamento del summit europeo di Lipsia.