Le più contente sono le agenzie di rating e le Borse. La vendita di Magneti Marelli ai giapponesi di Calsonic Kansei, società controllata dal fondo americano Kkr, fa festeggiare gli analisti per le prospettive di Fca. I 6,2 miliardi di euro incassati dal neo ad Mike Manley e dalla famiglia Agnelli portano Standard and Poor’s a parlare di possibile rialzo del rating.

MOLTO PIÙ PREOCCUPATI sono i 10mila lavoratori italiani, ben poco rassicurati dal comunicato Fca. Ieri la Fiom ha volantinato fuori da ogni stabilimento chiedendo a gran voce rassicurazioni sui livelli occupazionali e gli investimenti.
Per tutta risposta l’azienda ha convocato i sindacati lunedì prossimo, 29 ottobre, nella sede di Corbetta (Milano) mantenendo l’apartheid: prima i firmatari dell’accordo aziendale, poi la sola Fiom. Chissà se i giapponesi metteranno mai fine a questo scempio.

«Su Magneti Marelli da anni portiamo avanti una battaglia per evitare la vendita – spiega Michele De Palma, segretario nazionale della Fiom – . Chiedemmo di intervenire anche al ministro Calenda che oggi la giudica una pessima notizia, ma non fece niente, così come Gentiloni. Per noi Magneti Marelli non è un marchio storico, è un gioiello d’azienda con più innovazione in Italia: dal lighting al motore elettrico ha produzioni che sono invidiate in tutto il mondo. Invece che venderla all’estero chiedevamo che i vari governi costruissero una cordata, magari con Cassa depositi e prestiti e all’interno anche con Fca che rimaneva con una quota. Ora sentiamo il ministro Di Maio che dice di monitorare la vendita quando è già stata fatta e un altro pezzo di industria italiana è stata mangiata da un concorrente estero», attacca De Palma.

ANCHE SULLE CONSEGUENZE occupazionali la Fiom è molto preoccupata. «Non possiamo fidarci di Fca che dice di mantenere il contratto di fornitura per garantire i livelli occupazionali: quanti anni durerà? E poi Magneti Marelli ha il 60 per cento del fatturato che dipende da altre aziende di auto. La possibilità che i 6,2 miliardi incassati vadano tutti al mercato finanziario è reale, così facendo tutti gli stabilimenti italiani sono a rischio», conclude De Palma.

AD OGGI I LAVORATORI PIÙ a rischio sono quelli degli stabilimenti Pcma, la branca di Magneti Marelli che opera nel settore plastico: l’accordo di vendita con Calsonic dovrebbe prevedere che questi lavoratori siano spostati direttamente nel perimetro Fca, ma rischiando di rimanere un «ramo secco» nel giardino degli Agnelli.

SI TRATTA DI CIRCA 1.300 lavoratori concentrati negli stabilimenti di San Benigno (Torino) e Tito Scalo (Potenza). E da lunedì sono in grande agitazione in attesa di conferme lunedì dall’incontro aziendale a cui dovrebbe partecipare anche Ermanno Ferrari, il neo ceo (è stato nominato da Fca a inizio ottobre) che dovrebbe rimanere nel board anche con i giapponesi di Calsonic.
Gli altri sindacati invece sono più ottimisti e si limitano a chiedere conferme. «Chiederemo i dettagli dell’operazione e gli stabilimenti coinvolti e la conferma dell’esclusione di Pcma – spiega Ferdinando Uliano, segretario nazionale della Fim Cisl – . La cosa più importante è che non ci sono sovrapposizioni produttive con Calsonic Kansei mentre non credo che lunedì avremo dettagli sulle conseguenze della vendita sui piani Fca: per quello dovremmo aspettare l’incontro con Manley che abbiamo chiesto urgentemente proprio insieme a quello con Magneti Marelli».

«ABBIAMO LA SPERANZA che questa vendita sia una occasione di sviluppo per tutti gli stabilimenti italiani di Magneti Marelli – precisa Gianluca Ficco, segretario nazionale Uilm – . Non credo che i giapponesi vogliano uscire dal contratto specifico aziendale Fca per passare al contratto nazionale dei metalmeccanici», prevede.

SIA FIM CHE UILM, assieme agli altri sindacati firmatari, a giorni consegneranno a Fca la piattaforma per il rinnovo del Ccls in scadenza a dicembre. «Conterrà migliorie», annuncia Ficco che invece ha ben poche aspettativa per la convocazione al Mise da Di Maio del 31 ottobre: «L’azienda non ci sarà».