Il disegno di legge contro l’omotransfobia e la misoginia ha avviato ieri il suo cammino parlamentare: la commissione Giustizia della Camera ha adottato come testo base quello proposto da Alessandro Zan (Pd), fissando a domani il termine per la presentazione di emendamenti. Salvo sorprese, il passaggio in Aula è previsto lunedì 27. Nel dibattito interviene ora anche Magistratura democratica (Md), attraverso la componente dell’esecutivo Giulia Locati, giudice penale a Torino, che promuove le intenzioni del legislatore.

Dottoressa Locati, c’è bisogno di una nuova legge per punire i crimini di odio contro le persone lgbt e le donne?

Il Parlamento è ovviamente libero di fare le proprie scelte, che come magistrati rispettiamo in ogni caso. Sulla base della nostra esperienza tecnica, come Md riteniamo sia necessario che certi comportamenti vengano qualificati come reato, anche al fine di renderli socialmente inaccettabili. Detto questo, va chiarito subito che la sanzione penale non risolve tutti i problemi, ed è per questo che è da apprezzare che il ddl preveda anche l’istituzione della giornata nazionale contro l’omotransfobia, le strategie per la prevenzione e il sostegno ai centri antiviolenza.

Non è pericoloso attribuire una funzione pedagogica al diritto penale?

Ogni norma che prevede che un comportamento sia un reato è, per certi versi, pedagogica: vale anche per il furto o l’omicidio. Non mi sembra un’obiezione fondata. Noi di Md siamo da sempre favorevoli a un diritto penale minimo, ma non è questo il punto: c’è un’esigenza di uguaglianza rispetto al fatto che alcune situazioni di discriminazione sono riconosciute e altre no negli articoli 604 bis e 604 ter del codice penale. Alla base della proposta non c’è una cultura della punizione, ma dell’inclusività.

Non bastano già le aggravanti per futili motivi previste nell’articolo 61 del codice penale, quello sulle aggravanti per tutti i reati? Lo pensa, ad esempio, un costituzionalista autorevole come Michele Ainis.

È vero che già oggi il giudice può applicare a un’aggressione contro una persona lgbt le aggravanti per futili motivi, ma attenzione: può, non deve. Qui sta la differenza rilevante. Se venissero introdotte le novità, invece, il giudice sarebbe obbligato a tenere conto dell’intenzione discriminatoria che ha ’ispirato’ la violenza verso una persona in quanto omosessuale, ad esempio. Ma c’è dell’altro: introdurre un reato specifico significa riconoscere che esiste una discriminazione in quanto tale, che è il modo migliore per combatterla. Bisogna dire esplicitamente che esiste.

Le riporto un’altra critica al ddl Zan: per l’ex presidente della Consulta Cesare Mirabelli si dovrebbe aggiungere nell’articolo 61 l’aggravante di aver agito con intenzioni discriminatorie lesive della dignità umana, cioè una formulazione più generale senza modificare la legge Mancino e senza citare le categorie di orientamento sessuale, identità di genere…

Sarebbe un intervento insufficiente per due ragioni. La prima è tecnica: sarebbe troppo facile bilanciare le aggravanti con le attenuanti, a differenza di quanto accadrebbe se venisse approvato il ddl Zan che riguarda uno specifico reato come la propaganda e l’istigazione a delinquere per motivi di discriminazione. E poi c’è una questione simbolica: se la discriminazione per orientamento sessuale e identità di genere è grave come quella per la razza, perché non metterla nello stesso articolo? O si ritiene che sia meno grave, o deve stare nello stesso ’luogo’ del codice penale.

Sul nostro giornale, domenica scorsa, la costituzionalista Silvia Niccolai ha sostenuto che il ddl non dovrebbe utilizzare le espressioni genere e identità di genere, ma limitarsi a citare omosessuali e transessuali: in questo modo si supererebbe l’ostilità di una parte del femminismo.

Non entro in un legittimo dibattito ideologico, mi limito a dire che l’identità di genere non è un’invenzione dei promotori del ddl, ma è riconosciuta e tutelata dalle norme e dalla giurisprudenza internazionali a cui l’Italia deve adeguarsi. Peraltro, anche la nostra Corte costituzionale ha riconosciuto l’identità di genere come diritto fondamentale della persona. Ci sono individui che hanno un’identità che non corrisponde al dato biologico del sesso, se non venissero esplicitamente tutelati la norma sarebbe monca e addirittura discriminatoria nei loro confronti.

C’è poi chi dice che la legge sarebbe liberticida, perché limiterebbe la libertà di opinione.

Il ddl non è affatto liberticida, al contrario: sostenere, ad esempio, che un bambino deve avere un padre e una madre non potrà mai essere considerato un discorso d’odio anche grazie a questo ddl, che tipicizza in modo molto preciso ciò che un giudice deve interpretare come tale.