La storia di Magistratura democratica (Md) è da sempre una storia di vivaci discussioni interne, e questo ventiduesimo congresso non fa eccezione. A fronte di una sostanziale uniformità di giudizio sui provvedimenti-simbolo del populismo di governo, ritenuti da tutti in contrasto con diritti fondamentali e garanzie, le toghe progressiste divergono su quale sia l’agire più efficace per stare «dalla parte dei sommersi».

Una parte del gruppo teme che Md si trasformi in un «partitino» sovra-esposto mediaticamente, che fa opposizione «politica» alla maggioranza Lega-M5S perdendo la sua natura di associazione di magistrati.

Un’altra parte rivendica invece la capacità di collegamento alle istanze della società civile, alle associazioni che si mobilitano per i più deboli, richiamandosi alla tradizione di dialogo con il mondo esterno a quello giudiziario. E questa discussione si intreccia con il tema – che ha un’apparenza «organizzativa», ma una sostanza puramente politica – del rapporto fra Md e Area, il gruppo attraverso il quale le toghe progressiste (compreso il Movimento per la giustizia) si presentano alle elezioni del Consiglio superiore della magistratura e del parlamentino dell’Anm.

A chi conosce le vicende della corrente delle «toghe rosse» il confronto di queste assise romane può ricordare la contrapposizione fra «efficientisti» e «identitari» di alcuni anni fa, quando l’anima più «pragmatica» e quella più «ideologica» faticavano a trovare una linea comune. Maria Cristina Ornano, iscritta a Md e leader di Area, denuncia il rischio di «settarismo» nelle posizioni degli «identitari» e rivendica che Area abbia una vocazione maggioritaria che le permette di «rappresentare dai settori più moderati a quelli più radicali» della magistratura.

Nella sua scia la voce di Anna Canepa (ex segretaria del gruppo), che lancia l’allarme sulla «perdita di imparzialità» per gli atteggiamenti troppo militanti, e quelle di Luca Poniz, pm milanese, e Chiara Gallo, gip del Tribunale di Roma, tutti e tre firmatari del documento in cui si chiede che Md «coordini le proprie iniziative e i propri interventi con Area». «Ma nessuno di noi vuole lo scioglimento di Md in Area, sbaglia chi ci attribuisce questa intenzione», afferma la gip capitolina, preoccupata per «l’arretramento nel rapporto fra Md e Area».

È, quello di Gallo e gli altri, il punto di vista critico con la dirigenza uscente, che per bocca del presidente Riccardo De Vito difende invece l’indirizzo più «movimentista» seguito negli ultimi due anni: «Noi restiamo terzi e imparziali, ma non siamo neutrali rispetto ai valori della Costituzione, a difesa dei quali ci dobbiamo schierare».

E sul rapporto con Area nega, a sua volta, che la maggioranza di Md coltivi una volontà di separazione. Nella sintesi di Ezia Maccora, gip a Milano, e influente sostenitrice della linea della dirigenza: «No a fughe in avanti, no a passi indietro», né scioglimento né divorzio. Le conclusioni dei lavori, oggi pomeriggio, diranno se i rapporti di forza interni cambieranno rispetto agli equilibri attuali. Non c’è aria di rotture clamorose, ma non è chiaro se dal congresso uscirà un esecutivo con tutte le anime o se la minoranza «areista» decida polemicamente di lasciare interamente agli «identitari» la guida della corrente.

Anche ieri molti ospiti esterni. Il vicepresidente del Csm David Ermini ha sottolineato «una convergenza di analisi e timori» con le posizioni di Md: «Il rischio che si annida nelle pulsioni populiste sta nell’insidiosa corrosione della giurisdizione», attraverso «delegittimazione o denigrazione» dei magistrati. Nette le sue parole in difesa del «ruolo attivo e propulsivo dell’associazionismo giudiziario», contro chi demonizza le correnti. E, di conseguenza, «assoluta contrarietà» al sorteggio per scegliere i componenti togati del Csm. Assonanza anche fra Md e avvocati delle camere penali, e applausi per Mauro Palma, garante dei detenuti, Carlo Smuraglia, 96enne lucidissimo e combattivo presidente onorario Anpi, e don Luigi Ciotti. Oggi, giornata di chiusura, prenderà la parola Maurizio Landini, a sottolineare lo storico legame fra le toghe progressiste e la Cgil.