L’eco di quello che accade «là fuori» rimbalza nel congresso di Magistratura democratica: la lotta degli operai di Campi Bisenzio, le morti sul lavoro, le violenze delle forze di polizia, le condizioni dei migranti, delle persone con disagio psichiatrico, dei carcerati. A parlarne sono sia gli ospiti esterni, come i rappresentanti dell’Arci, dei sindacati e delle associazioni di avvocati, sia i membri della corrente delle toghe progressiste: la visione è comune, sempre dal punto di vista dei soggetti più deboli e più meritevoli di tutela. Franco Corleone, garante dei detenuti di Firenze e presidente della Società della ragione, chiede a Md un impegno contro l’ergastolo: «La Corte costituzionale ha dato un anno di tempo al parlamento per intervenire sul tema, bisogna farsi sentire». Altro terreno di iniziativa auspicato da Corleone è quello contro il proibizionismo in materia di droghe, una delle cause del sovraffollamento dei penitenziari italiani.

Inevitabile, però, che il dibattito congressuale, entrando nel vivo nel secondo giorno, sia soprattutto dedicato alle questioni «interne». Sono quelle che riguardano l’intera magistratura e la politica sulla giustizia, risuonate anche negli interventi del vicepresidente del Csm David Ermini e del presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, tornati entrambi a puntare il dito contro il carrierismo, «virus letale e motore di scambi immorali – così Ermini – che hanno inquinato la vita consiliare». Ma sono soprattutto le questioni legate alla linea politica della corrente: il nodo da sciogliere è il rapporto con Area, il «gruppo dei gruppi» delle toghe di sinistra al quale Md aveva ceduto il compito di rappresentarla nel Csm e nell’Anm. La maggioranza sottolinea l’importanza della riconquista dell’autonomia piena di Md, la minoranza «filo-Area» paventa il rischio di un ripiegamento identitario e settario.

A farsi portavoce di queste preoccupazioni sono in particolare Alessandra Dal Moro, consigliera del Csm, e Cristina Ornano, giudice a Cagliari, che di Area è la presidente: per loro la via di uscita è la doppia iscrizione, il rischio da evitare «la competizione aggressiva» fra i due gruppi progressisti. La maggioranza difende la scelta di recupero della piena sovranità di Md. «C’è una sensibilità dentro la magistratura che solo una Md nuovamente autonoma può riuscire a intercettare»: questa la tesi di Stefano Musolino, nuovo segretario in pectore del gruppo. Le parole non spaventano: viene invocata «radicalità», il presidente uscente Riccardo De Vito, giudice di sorveglianza a Sassari, si richiama al «valore dell’eresia» perché una corrente non deve essere «un ufficio di collocamento per dirigenti degli uffici giudiziari».

Per Simone Silvestri, gip a Lucca, è stato un errore avere abbracciato, attraverso Area, «posizioni più moderate», rivendicando la scelta solitaria di Md di schierarsi per il «no» al referendum costituzionale voluto da Matteo Renzi. L’avversario culturale è «il populismo giudiziario che dilaga», sottolinea Emilio Sirianni, giudice della corte d’appello di Catanzaro, terra del procuratore e star mediatica Nicola Gratteri.

Chi ha spinto per il nuovo inizio di Md tiene a evidenziare però la necessità dell’unità politica del fronte progressista. Può sembrare un paradosso, ma non lo è: l’idea è quella del marciare divisi per colpire uniti. Rita Sanlorenzo, ex segretaria e una delle maggiori artefici di questa svolta, parla di «geometrie variabili» nel rapporto fra Md e Area, che andranno trovate volta per volta. Stamattina si chiuderanno i lavori, i dettagli della mozione finale saranno importanti per una conclusione unitaria oppure no.