C’è una tipologia di animazione giapponese che gode di buonissima salute e che non è quella a cui pensiamo quando accostiamo i due termini “Giappone” e “animazione”. Si tratta bensì dei lavori realizzati in stop-motion, specialmente con pupazzi, un tipo di animazione che una tradizione abbastanza ricca nel Sol Levante. Nel dopoguerra i due nomi che più hanno contribuito a dare lustro a questo tipo d’arte sono stati Kihachiro Kawamoto (1925-2010) e Tadanari Okamoto (1932-1990), entrambi provenienti dalla scuola del pioniere Tadahito Mochinaga, con cui fecero apprendistato. Kawamoto, che fin da giovane si innamorò dei lavori di Jiri Trnka, nei primi anni sessanta andò a studiare e a perfezionare la propria arte proprio in Cecoslovacchia. Al ritorno in patria cominciò a realizzare, anche su suggerimento di Trnka, una serie di cortometraggi indipendenti che pescavano nell’antica tradizione artistica giapponese del teatro Noh, del Kabuki e del teatro delle marionette Bunraku. Fra questi lavori vanno ricordati almeno Oni, Dojoji, e Kataku, tutti realizzati durante gli anni settanta e premiati anche a livello internazionale, di notevole spessore anche il suo unico lungometraggio, Shiha no sho (Il libro dei morti) completato nel 2005.
ANCHE OKAMOTO studiò in Cecoslovacchia, lui con l’animatore Betislav Pojar, ma al contrario di Kawamoto, i suoi lavori hanno sfortunatamente avuto poca circolazione e quindi sono meno conosciuti al di fuori dell’arcipelago. A rimarcare l’importanza che questi due autori ricoprono nelle arti visive del paese, nel corso di questo 2021, il National Film Archive of Japan ha dedicato loro una lunga retrospettiva, purtroppo moncata e resa quasi fantasma dalla pandemia.
Ma come si diceva in apertura, l’animazione in stop-motion giapponese, quella indipendente almeno, ha continuato in anni recenti ad offrire, nel solco di Okamoto e Kawamoto, piacevoli sorprese. Ci sono molti esempi di questo piccolo rinascimento, ma due sono i nomi che meritano decisamente di essere seguiti con interesse, Tomoyasu Murata e Tomoki Misato. Il primo nel 2017 ha realizzato Matsu ga e wo musubi (A Branch Of A Pine Is Tied Up), uno dei lavori più toccanti e poetici che riflette sul triplice disastro che colpì il Giappone nord occidentale nel marzo del 2011. Il cortometraggio è al momento disponibile, legalmente, a questo link: https://youtu.be/I1JuC2ZGpU4 . Ma il vero piccolo capolavoro della stop-motion animata giapponese contemporanea è My Little Goat del 2018 realizzato da Tomoki Misato.
IL BREVE LAVORO usa la struttura di una fiaba tradizionale, in questo caso il lupo che si reca nella casa delle caprette nel bosco quando la mamma non c’è, per trattare temi scottanti e pressanti che qui non sveliamo, perchè anche questo cortometraggio è disponibile online, solo fino al 24 dicembre però: https://online24th.j-mediaarts.jp/gallery/281 . Questi due casi non solo mettono in luce la creatività e l’originalità delle idee utilizzate, cosa che spesso manca in lavori più commerciali, ma anche il tocco artigianale e una certa spavalderia a sperimentare, anche perché si tratta di cortometraggi di solito realizzati all’interno di progetti legati al mondo dell’arte.
A sancire il buon momento della stop-motion vale la pena qui ricordare anche il pluripremiato lungometraggio di fantascienza Junk Head, uscito nel 2021, ma lavoro a cui Takahide Hori ha dedicato ben sette anni di sudore, e il progetto Shin Thunderbirds, un nuovo montaggio, a opera di Hideaki Anno, della famosa serie televisiva inglese degli anni sessanta che dovrebbe uscire in Giappone il prossimo anno.
matteo.boscarol@gmail.com